Alain Elkann per “la Stampa” - Traduzione di Carla Reschia
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Peter Marino (Fellow of the American Institute of Architects) ha fondato nel 1978 a New York lo studio Peter Marino Architect, che ha 160 collaboratori. I numerosi progetti per alcuni dei marchi più noti della moda e dell' arte ne hanno fatto una realtà di rilievo internazionale. Il suo lavoro include progetti residenziali, commerciali, culturali e di ospitalità in tutto il mondo.
Marino, dove si trova ora?
«Io e la mia famiglia abbiamo lasciato New York, che sembra completamente infettata dal coronavirus, per Southampton, dove ho due case. Lavoro ogni mattina per due ore nel mio giardino, che è tutto in fiore. Poi vado a piedi, sono sette isolati, in paese, dove ho un ufficio. Molto tristemente, passo davanti all' edificio in cui stiamo costruendo la mia Fondazione, ma tutto si è fermato e non abbiamo idea di quando riprenderanno i lavori. In ufficio uso Zoom con i miei architetti e i miei clienti: otto ore al giorno davanti al computer».
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Non ha sempre detto che non avrebbe mai usato un pc?
«Volevo essere l' ultimo uomo a scendere nella tomba senza aver mai usato un computer.
Sfortunatamente, nelle ultime sei settimane ho dovuto imparare a diventare un esperto. Trovo che sia una macchina insufficiente, lenta ed estremamente limitata in ciò che puoi fare rispetto al disegno e al pensiero liberi. Sono scosso dalla scoperta di quanto siano goffi i computer».
Viaggiava sempre. E adesso?
«Mi sento in paradiso a non dover prendere aeroplani».
Non si sente solo?
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«Adoro stare da solo. Poi torno a casa e ceno con la mia famiglia, e guardiamo su Netflix una serie tv tipo Babylon Berlin, The Crown o I Medici; e poi ho tempo per leggere. E di scrivere. Sto lavorando alla prefazione di un libro d' arte e al mio secondo libro sulla ceramica francese, su Pierre-Adrien Dalpayrat».
Altri progetti?
«Di due tipi. Quelli in fase di ideazione - come delle case private e un hotel a Los Angeles - e quelli in fase di pianificazione. Poi l' edificio Christian Dior in Avenue Montaigne e il progetto Bulgari di 2000 metri quadrati in Place Vendôme a Parigi, e un progetto Chanel a Los Angeles realizzato a metà. Ma tutti i nuovi progetti sono in ritardo di un anno».
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Ha lavorato in Cina, Corea, Giappone, Hong Kong, Singapore, Taiwan. Cosa sta succedendo lì?
«Due settimane fa a Hong Kong i lavori sono ripresi. Abbiamo un edificio in costruzione per Louis Vuitton a Tokyo e crediamo partirà a settembre».
Cosa sta succedendo in America?
«L'America è chiusa al 100%. Hanno detto che se ne riparla il 15 maggio. Non riesco a immaginare che si faccia così presto».
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Pensa che il Paese fosse impreparato?
«Penso che lo fosse il mondo intero. Nella nostra storia, le pandemie non sono state così scioccanti, in passato ne abbiamo avuto molte. Al giorno d' oggi, con milioni di persone che viaggiano in aereo, non sono sorpreso dalla diffusione che ha avuto il virus ma dal tempo impiegato dai leader per reagire nonostante le informazioni disponibili».
Pensa che a causa della pandemia gli architetti dovranno adottare nuove misure di sicurezza?
«Per un po' sarà richiesto il distanziamento, e i governi adotteranno sistemi per praticarlo».
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Che tipo di mondo immagina?
«Penso che ci sarà una reazione al fatto che abbiamo avuto due o tre mesi di realtà virtuale. Le persone torneranno allo sport, allo shopping e ai musei. Siamo animali sociali. Se non siamo costretti a farlo per legge, non manteniamo le distanze. Sono fiducioso nel vaccino».
Quale pensa sarà l'atteggiamento delle persone nei confronti del lusso?
«Le definizioni di lusso sono sempre fluide. Per alcuni, è un lusso essere soli in un monastero. Per me, non dover viaggiare in aereo e vivere in campagna».
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E i marchi di moda di lusso?
«È un bisogno umano avere qualcosa di bello e di ben fatto, fin dagli Egizi».
E l'arte?
«L'arte è sempre stata un valore e sarà più importante che mai, perché nel mondo occidentale e in Cina assicura una certa spiritualità che in passato era fornita solo dalla religione organizzata».
È stato l' architetto di Andy Warhol, nonché suo amico. Cosa pensa che avrebbe detto di questo periodo?
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«Avrebbe scattato fotografie delle cellule del virus e le avrebbe colorate con colori pop, e penso che i quadri sarebbero stati venduti come il pane. Avrebbe realizzato dei dipinti con immagini disastrose di ciò che è accaduto negli ospedali, e dei morti, e avrebbe mostrato scene di orrore. Era un grande artista e i suoi dipinti riflettevano i valori e gli eventi che vivevamo. I suoi dipinti definivano gli Anni 60 e 70 e se fosse vivo oggi definirebbe il 2020».
Ci sono artisti viventi come lui oggi?
«Mi viene in mente Richard Prince. I suoi dipinti definiscono la società americana odierna. Sto collezionando accanitamente Georg Baselitz. Dipinge ritratti di uomini che cadono davvero densi di significato. Mi ha chiesto di progettare la sua mostra alla Biennale di Venezia nel maggio 2021 a Palazzo Grimani».
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Lei adora la moto. Riesce ad andarci in questo periodo?
«Tra due settimane, credo. Ora fa troppo freddo. Ricomincerò non appena sarà abbastanza caldo, con la mia KTM e la mia Triumph».
Il suo modo di lavorare cambierà dopo la pandemia?
«No. C' è chi dice che faremo più lavoro a casa. La mia risposta è: no! Non penso che lavorare a casa sia il massimo. Hai bisogno di un ambiente in cui essere produttivo, ecco perché non credo nello stare a casa. Non per l' architettura e il design, la creatività. Non intendo, una volta terminata questa quarantena, continuare a lavorare al computer. Voglio disegnare con il mio Pentel nero e vedere e toccare i materiali. Con Zoom puoi mostrare i piani, ma i computer non trasmettono il senso di materialità. Tutto è piatto su un computer. I computer non hanno sensualità. L' effetto è l' appiattimento. Cercano di rendere tutti uguali, e questo rende triste e difficile lavorare».
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In futuro non lavorerà per Apple o Microsoft?
«Non sono il mio genere di clienti».
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