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    IL MITO (GIÀ OFFUSCATO) DELLE BANCHE SVIZZERE È CROLLATO PER SEMPRE – CREDIT SUISSE E UBS SONO RIVALI DA DUE SECOLI, E ORA COSTRETTE ALLA FUSIONE DOPO LA GESTIONE ALLEGRA DA PARTE DEI MANAGER. TUTTE E DUE NEGLI ANNI SONO STATE COINVOLTE IN SCANDALI FINANZIARI, ZAVORRATE DA MUTUI IPOTECARI E PRESTITI A PERSONAGGI DI DUBBIA MORALITÀ. MA TANTO, SONO “TOO BIG TO FAIL”, E QUINDI DA DOMANI RICOMINCERANNO PIÙ FORTE DI PRIMA...


     
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    Estratto dell’articolo di Franco Zantonelli per “la Repubblica”

     

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    […] Come una sorta di nemesi storica, l’acquisizione di Credit Suisse, da parte di Ubs, avviene a 30 anni dall’integrazione dell’allora Banca Popolare Svizzera in quello che, fino alla tempesta finanziaria degli ultimi giorni, è stato il numero due del sistema bancario elvetico.

     

    In difficoltà per una crisi immobiliare, la Banca Popolare venne corteggiata sia da Ubs sia da Credit Suisse. Con un colpo d’ingegno, fu il presidente di quest’ultimo, Rainer E. Gut, ad avere la meglio. Il 6 gennaio del 1993 Gut annunciò l’avvenuta integrazione dell’istituto in difficoltà, con grave scorno della rivale Ubs.

     

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    Un’operazione costosa, visto che comportò un esborso di 2,6 miliardi di franchi, oltre al sacrificio di 2000 posti di lavoro. Il colosso Credit Suisse nacque allora, sulle ceneri della Banca Popolare. L’anno successivo nuova vittoria su Ubs, con l’acquisizione della Neue Aargauer Bank, il principale istituto bancario regionale svizzero. Ubs si prese la rivincita nel ’97, quando fece propria la SBS, Società di Banca Svizzera.

     

    Da allora i due istituti, che si fronteggiano anche fisicamente, avendo le sedi una di fronte all’altra in Paradeplatz a Zurigo, hanno iniziato il loro cammino di istituti “too big to fail”, esportando il savoir faire bancario svizzero, non sempre eticamente cristallino, in tutto il mondo.

     

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    Sembrava una sorta di età dell’oro. Eppure, almeno per Credit Suisse, dal 2015 iniziò un lento declino, accelerato da affari miliardari sballati e dall’avidità di dirigenti non all’altezza. Due esempi su tutti: il ceo Tidjame Thiam, in carica dal 2015 al 2020, si è intascato 70 milioni di franchi, tra stipendi e bonus, mentre Urs Rohner, presidente del cda nello stesso periodo, di milioni di franchi ne ha portati a casa 50.

     

    Rohner, lo scorso anno, venne citato dal fondo pensioni della città statunitense di Providence, per il fallimento miliardario dell’hedge fund Archegos, uno dei motivi all’origine della discesa agli inferi di Credit Suisse. Fatto sta che è stato sotto la gestione di banchieri quali i sopracitati Thiam e Rohner, che l’affidabilità di Credit Suisse ha iniziato a vacillare.

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    […] Una banca che, oltre un secolo dopo dalla sua nascita, ha avuto bisogno dell’intervento di quella che possiamo dire sia stata la sua rivale di sempre, per uscire da una tempesta che Ubs, sia pure su presupposti diversi, aveva già affrontato e superato.

     

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    Ubs, nata nel 1862 come Banca di Winterthur, […] iniziò l’attività finanziando l’industria locale che, in quegli anni, stava diventando fiorente. Dopo il 2000, insieme a Credit Suisse, Ubs aveva, intanto, messo stabilmente piede a Wall Street, dove drenò diversi miliardi in fuga dal fisco Usa. Il che costò a entrambe le banche un’altra batosta, in termini di multe a 9 zeri. E alla Svizzera la fine del segreto bancario. Nel 2008, poi, sempre tarantolata dal demone del guadagno facile, Ubs si imbottì di mutui ipotecari americani e solo un salvataggio da 60 miliardi di franchi, da parte della Confederazione, la salvò da una fine analoga a quella di Lehman Brothers. Dopo 15 anni, restituiti i 60 miliardi, le tocca restituire il favore, evitando la scomparsa di Credit Suisse. […]

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