DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alberto Mattioli per lastampa.it
Di tutte le opere di Verdi, “Ernani” è forse la più difficile da mettere in scena. Più che il manifesto del Romanticismo che fu, con relativa “bataille”, dell’“Hernani” di Victor Hugo a Verdi interessavano il ritmo forsennato, la drammaturgia esplosiva ed esclamativa, i colpi di scena a ripetizione, valorizzati dal primo libretto scritto per lui da Francesco Maria Piave, che si fece serenamente bullizzare per trovare quella brevità addirittura aforistica che Verdi fortissimamente voleva.
Il grottesco di Hugo, che tanto affascinava Verdi per la sua derivazione shakespeariana, passa qui in secondo piano, aleggiando tuttavia nell’improbabilità di questo “onore castigliano” spinto fino al suicidio per rispettare una promessa. Quindi l’opera è difficile, forse impossibile: dal punto di vista scenico, perché il comico involontario è dietro l’angolo, e dal sublime al ridicolo in “Ernani” c’è davvero meno di un passo; da quello musicale, perché dentro forme e melodie ancora donizettiane rugge come costretto un Verdi magari un po’ rozzo ma incalzante, arrembante, violento, insomma irresistibile (questa ambiguità si riverberò sulla scrittura vocale, per esempio nella parte del protagonista, scritta per un “rubiniano” come Carlo Guasco che naturalmente ci si trovò a disagio, e che costituisce tuttora un rebus per ogni casting
Adesso “Ernani” torna dove nacque, alla Fenice, nel complesso bene ma senza risolvere tutte le inestricabili difficoltà di cui sopra. Dal podio, Riccardo Frizza cerca e trova l’equilibrio fra forme belcantiste e fiamme da Verdi “di galera”, con un’ineccepibile attenzione al palcoscenico e la giusta grandiosità nei concertati, magari con qualche pesantezza che sarà limata in corso di repliche.
Lo spettacolo di Andrea Bernard si inserisce nell’ambigua categoria della “tradizione”, almeno per i costumi storici di Elena Beccaro e le scene allusive di Alberto Beltrame. Viene molto sottolineata l’angoscia di Ernani per il papà ucciso, anche con la tomba piazzata full time al proscenio e periodiche apparizioni del fantasma, tipo padre di Amleto, tanto che, come notava qualcuno nella chiacchera post prima, sarebbe stato forse il caso di riesumare l’aria alternativa scritta da Verdi per Ivanoff, dove il bandito si rivolge appunto al padre (invece si è fatto l’“Ernani” originale del 1844, quindi senza la cabaletta di Silva). Al netto del tremendo balletto del quarto atto, la regia “racconta” con pertinenza se non con fantasia; da Bernard, uno dei giovin registi italiani più interessanti, ci si poteva forse aspettare qualcosa di più coraggioso.
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Chi non funziona è Ernesto Petti, che pure alla lotteria del caso ha vinto la voce da baritono più clamorosa degli ultimi anni, grandissima ed estesissima.
alberto mattioli foto di bacco
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