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    "KAISER FRANZ" FOR EVER! IL MONDO DEL CALCIO PIANGE IL LEGGENDARIO FRANZ BECKENBAUER, SCOMPARSO A 78 ANNI – CAMPIONE DEL MONDO NEL1974, L'EX DIFENSORE DELLA GERMANIA SOFFRIVA DI PARKINSON. AVEVA SUBÌTO DUE INTERVENTI AL CUORE E NEL 2019 HA RIVELATO ALLA RIVISTA “BUNTE” DI AVER AVUTO UN “INFARTO OCULARE” – "KAISER FRANZ", IL CAPOSTIPITE DEI "LIBERI", FU TRA I PROTAGONISTI (COL BRACCIO AL COLLO) DI ITALIA-GERMANIA 4-3. LA SUA FRASE TOTEMICA: “NON VINCE CHI È PIÙ FORTE, MA CHI VINCE È IL PIÙ FORTE” - VIDEO


     
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    Da repubblica.it

     

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    Ogni volta che Franz Beckenbauer usciva dall’area per dirigersi verso l’orizzonte, e soprattutto per mandare laggiù il pallone, esattissimamente, era come quando von Karajan faceva scoccare dalla sua magica bacchetta l’attacco della Quinta sinfonia di Beethoven, devotamente seguito dai Berliner Philarmoniker (peraltro, Herbert von Karajan era austriaco, come Hitler), così come il Bayern Monaco e la Nazionale tedesca ubbidivano sul campo agli ordini di Kaiser Franz.

     

    C’era, nel suo gioco sublime e algido, la grazia di una perfezione quasi disumana, e tratti sinistra. Un teorema d’altri mondi, freddo come la neve, preciso come una lama giapponese.

     

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    Anche se le classifiche tra epoche diverse sono impossibili, e per questo stuzzicano oltre ogni misura, si è abbastanza concordi nel definire Beckenbauer il più grande difensore di tutti i tempi, e di certo il vertice assoluto del calcio tedesco. Un po’ per quanto vinse (fu il primo, tra l’altro, a conquistare il Mondiale come giocatore - nel ’74 - e poi come tecnico, nel ’90: dopo di lui ci riusciranno solo il brasiliano Zagallo e il francese Deschamps), ma soprattutto per l’interpretazione della sua arte. Artista è chi realizza qualcosa di mai visto prima, o lo fa come mai nessuno prima: Franz Beckenbauer ha semplicemente inventato il libero moderno (il termine “libero”, come sappiamo, venne coniato da Gianni Brera).

     

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    Il suo demiurgo fu Helmut Schoen, che da cittì della Germania capì che il ragazzo come mediano era sprecato (ma Franz aveva cominciato la carriera addirittura da ala sinistra), e lo costruì centrale d’impostazione: un playmaker arretrato, ma mica tanto. Ai mondiali del ’66, che gli inglesi rubarono in finale ai tedeschi grazie al gol fantasma di Hurst, Beckenbauer realizzò addirittura quattro gol, ma non sarebbe stata quella la sua principale vocazione: 14 reti in 103 presenze con la Germania. In quella finale, al ventunenne Franz venne affidato il controllo di Bobby Charlton, il fuoriclasse assoluto dell’Inghilterra: i due si elisero, e al resto pensarono arbitro e guardalinee.

     

    Nato assai povero tra le macerie di Monaco di Baviera l’11 settembre 1945, in quella che i tedeschi chiamano “Stunde Null”, l’ora zero della loro storia, figlio di un impiegato postale (Franz Beckenbauer senior) che vedeva malissimo la carriera sportiva del ragazzo, per fortuna incoraggiato dallo zio Alfons che viceversa lo portava agli allenamenti, il divino Franz abitava proprio davanti allo stadio del Monaco 1860 di cui era tifoso. Però il destino lo avrebbe condotto al Bayern all’età di appena nove anni, per fargli vivere un’avventura unica nella storia.

     

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    Molto più delle Coppe dei Campioni (tre) e di quella del Mondo che nel 1974 Franz sfilò sotto il naso a Cruyff, suo simbolico seppur diversissimo rivale in quei Settanta ruggenti, di Beckenbauer conta il magistero di caposcuola: perché tutti i maggiori liberi, compresi i nostri Scirea e Franco Baresi, sono discesi da lui. Il gioco di Beckenbauer era una definitiva somma algebrica di senso del tempo, tecnica perfetta, classe pura, forza nel tackle, anticipo ed eleganza, il tutto dentro un carattere di ferro.

     

    Gli appassionati lo conobbero davvero in quell’Italia-Germania 4-3 del 1970, quando il fenomenale tedesco giocò 25’ più gli interi supplementari con il braccio destro al collo. Era caduto male dopo uno scontro con Cera, si era lussato una spalla e la Germania aveva già esaurito le due sostituzioni. Più che appeso al collo, quel braccio faceva corpo unico con il petto, ma Beckenbauer si muoveva come se nulla fosse, fasciato come Tutankhamon: del resto, lui non era un faraone ma un kaiser, sempre di sovrani si tratta.

     

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    Un giorno, Maradona rivelò di essere cresciuto con quel campione negli occhi, lui e non Pelè. Anche Franz, di stile così misurato, aveva le sue turbolenze. Tre mogli, cinque figli, qualche grana fiscale, la vicepresidenza della Fifa perduta per reticenze durante gli interrogatori sull’assegnazione sospetta (quale non lo è?) del mondiale 2006 alla Germania. Quando lasciò l’Europa per i Cosmos di New York, aveva appena 32 anni e aveva già detto al calcio tutto quello che aveva da dire. Varcò la frontiera di una terra mai davvero conquistata, quella del soccer, poi tornò per un canto del cigno nell’Amburgo e infine ancora negli States, questa volta per l’addio.

     

    La sua frase totemica: <Non vince chi è più forte, ma chi vince è il più forte>. E lui vinse moltissimo, così come moltissimo ha sofferto quando il figlio Stephan, anche lui calciatore, morì ad appena 46 anni per un tumore al cervello.

     

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    Da qualche tempo Franz stava malissimo, dopo l’infarto oculare e il Parkinson che lo ha portato molto lontano da tutto, sul bordo della fine, proprio com’era accaduto all’amico Gerd Mueller, con cui ragazzino aveva iniziato l’epopea al Bayern, e nel terzetto c’era pure Sepp Maier il portiere. Tutti e tre erano in visita all’Hofburg di Vienna, la residenza imperiale, in un caldo giorno d’agosto del 1971, prima di una partita amichevole. Fu in quel luogo che il fotografo Herbert Sündhofer fece mettere in posa Beckenbauer accanto al busto marmoreo di Francesco Giuseppe, e la rivista “Kicker” titolò: “Due imperatori si incontrano all’Hofburg”. Il destino del Kaiser cominciò così, e non è finito mai.

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