Stefania Parmeggiani per “la Repubblica”
google cultural institute paris france
La collezione impossibile di Gustavo A. Ortiz, direttore del Museo di arte contemporanea di Bogotà, accosta le fotografie dei funerali di Peròn ai dipinti di Frida Khalo, le donne di Fernando Botero ad antiche sculture in basalto, le maschere d’oro peruviane ai graffiti che s’incontrano nelle strade di San Paolo, un ritratto di Diego Rivera ad alcune immagini dei fratelli Mayo durante le lotte operaie.
google cultural institute 16
In tutto cinquantaquattro opere che provengono dai muri, dagli archivi, dalle fondazioni e dai musei di Messico, Perù, Brasile, Costa Rica, Argentina, Guatemala. Rappresentano l’identità latinoamericana e nessuno, anche ricorrendo a ingenti finanziamenti e a un’aggressiva politica di acquisti, sarebbe riuscito materialmente a riunirle. Ortiz non ha avuto problemi: la sua è una delle migliaia di gallerie d’arte che s’incontrano su Internet.
google cultural institute
Qui la guerra dei prestiti non si combatte. I bronzi di Riace o la Gioconda si possono spostare. Basta navigare negli sterminati depositi di immagini del web.
Ortiz ha fatto incetta di opere d’arte grazie alla generosità dei suoi colleghi che dal 2001 a oggi hanno donato al Google Cultural Institute, super museo virtuale creato dal motore di ricerca, più di 6,2 milioni di riproduzioni in alta definizione di quadri, sculture, fotografie, siti archeologici. Un tesoro proveniente da cinquecento partner di oltre sessanta paesi e che nell’ultimo anno è stato apprezzato da più di diciannove milioni di visitatori.
google cultural institute viaggio nel moma di new york
Tra questi ci sono stati 360mila appassionati che non si sono limitati a sfogliare il più grande catalogo d’arte del mondo (200 milioni di pagine viste in dodici mesi), ma proprio come Ortiz hanno scelto alcune di queste immagini per costruire una galleria impossibile. La maggior parte è privata: non può essere visitata perché l’autore, in genere uno studioso, le ha pensate come quaderno di appunti per una ricerca, una mostra, un progetto. Ma ben 36.202 sono aperte al pubblico, create da altrettanti collezionisti.
google cultural institute vasari
C’è l’appassionato di cappelli che fa shopping nelle sale del Van Gogh Museum come in quelle degli Uffizi. E c’è l’esperto di serpenti che sceglie solo dipinti e statue che rappresentano i rettili: ecco allora un sarcofago egiziano del terzo periodo intermedio conservato all’Art Institute di Chicago accanto a un Budda del Laos che medita sotto la protezione di un Naga, un essere molto simile a un serpente, proveniente dalla Galleria Nazionale dell’Australia.
google cultural institute van gogh
Ci sono poi i collezionisti che abbinano a ogni opera una colonna sonora, una indicazione bibliografica, un video di presentazione. Come l’autore di The Middle Passage , progetto che racconta la schiavitù in America inseguendo le navi negriere. Uno dei campi arati con più dedizione riguarda la condizione femminile. «Lottando per la parità, le donne hanno percorso una lunga strada per raggiungere una posizione di potere e autorità», spiega l’autore di Portraits of Women in Art prima di mostrare ritratti di regine, guerriere maori, ministre, artiste e first lady, da Isabella del Portogallo a Eagle of Delight, una delle cinque mogli del capo tribù degli Otoe, Shaumonekusse.
google cultural institute la mostra su mandela
Non solo dipinti e sculture. Quasi quattrocento sono musei di strada, raccolte di graffiti dalle città del mondo come Arte de Rua di San Paolo e Pinoy Urban Art che porta il visitatore nella metropolitana e nelle periferie di Manila. Tra le gallerie più suggestive quelle nate dall’immenso archivio fotografico di Life. Si pensi a Warriors come out to play , che raccoglie immagini in bianco e nero di New York: bande di strada, scene del crimine, innamorati a Times Square, l’ora di punta in metropolitana. La vita negli anni Settanta.
google classical institute anna frank
In tutti questi casi il collezionista virtuale resta nell’ombra: il Cultural Institute non chiede di associare un profilo alla galleria personale. Poche eccezioni, tra cui quelle dei direttori di musei. Da Claudio Parisi Presicce, sovrintendente ai Beni culturali di Roma, a Natalia Majluf, direttrice del Museo di Arte di Lima, in tanti hanno creato la propria collezione.
google art project
È nata così quella impossibile di Ortiz o quella di Asunción Cardona del Museo del Romanticismo di Madrid: «La quantità, la varietà e la qualità delle opere presenti rendono difficile la selezione. Ho cercato di mettere a fuoco autori del XIX secolo, vicini in qualche modo al movimento romantico. Per questo motivo preferisco presentare la mia selezione come una proposta di passeggiata tra infinite possibilità».
Una selezione guidata da quello che nel mondo reale si chiamerebbe “progetto curatoriale”. E non ci sono solo le pagine Cultural Institute. Ci sono anche le gallerie dei veri collezionisti su Artkabinett e Indipendent collector e ci sono quelle di ArtStack, un social media che permette di scoprire nuovi artisti tra i circa 30mila catalogati e di condividere le opere che più piacciono scegliendo da un portfolio di 150mila.
google art project versailles
Sempre a costo zero ci sono le gallerie create su Pinterest e sugli altri siti di photosharing. Depositi d’immagini sterminati. Basti pensare a quelle custodite dall’Internet Archive, una società no profit che oltre a conservare le pagine web anche dopo la loro cancellazione, ha digitalizzato più di un milione di libri non coperti dal diritto d’autore. Fino a pochi giorni fa le fotografie di quei libri erano lettera morta: inutilizzabili dato che non esisteva un indice per sfogliarle.
google art project
Poi Kalev Leetaru, ricercatore dell’università di Georgetown, ha aperto su Flickr la sua personale collezione: 2milioni e 600mila immagini storiche, alcune delle quali riproduzioni di antiche opere d’arte andate perdute, raccattate da quei libri grazie a un software che le cataloga automaticamente. Il programma, che è nato grazie a una borsa di studio finanziata da Yahoo (proprietario di Flickr) sta ancora lavorando.
Ne scansiona mille al giorno e si fermerà quando anche l’ultima fotografia sarà catalogata. Leetaru spiega che a quel punto la sua collezione avrà raggiunto la cifra vertiginosa di dodici milioni di immagini. Roba da fare impallidire la smania enciclopedica degli Este, dei Gonzaga o dei Montefeltro.