Marco Giusti per Dagospia
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Linda Manz rip
“Meglio bruciare che svanire?” E’ la frase di una canzone di Neil Young che Linda Manz, protagonista ribelle di “Out of Blue” di Dennis Hopper si ripete come un mantra. Già bambina prodigio e narratrice ne “I giorni del cielo” di Terrence Malick, teenager ribelle alla James Dean in “Out of the Blue”, madre in “Gummo” di Harmony Korine, il cinema perde oggi a soli 58 anni Linda Manz, incredibile attrice di culto americana che da anni si era ritirata a vita privata. Lontana da Hollywood, da New York.
Lontana da qualsiasi desiderio di cinema. Proprio l’anno scorso Chloë Sevigny, che stava girando nel veneto la nuova serie di Luca Guadagnino, “We Are Who We Are”, aveva presentato al Festival di Venezia di “Out of Blue” di Dennis Hopper, che lei stessa aveva contribuito a far restaurare iniziando una raccolta fondi che aveva rilanciato il film. "Per quanto riguarda la recitazione”, disse Chloë Sevigny, “mi piacerebbe fare una carriera come Linda Manz. È la mia attrice preferita. Ha fatto tre film e sono tutti capolavori, tranne The Wanderers. Adesso vive in un parcheggio per roulotte con tre o quattro bambini, credo. Ma preferisco fare tre capolavori piuttosto che fare dieci film tutti scandenti e guadagnare milioni di dollari".
linda manz out of the blue
Nato come piccolo film giovanile canadese, “Out of Blue”, passato nelle mani di Dennis Hopper, interprete, regista e sceneggiatore, diventa ben altra cosa. Costruito su una canzone di Neil Young, offriva a Linda Manz il ruolo di Cebe, una ragazzina che deve affrontare il fatto che il padre, Dennis Hopper, appena uscito di prigione, abbia ucciso con una manovra sbagliata in auto molti bambini della loro città che stavano su un autobus. E deve affrontare il fatto che oltre a suo padre l’abbiano lasciata per sempre anche Johnny Rotten e Elvis.
La Sevigny, pazza del film e del ruolo di Cebe, aveva addirittura comprato da Linda Manz la giacchetta blue con la scritta Elvis che aveva l’attrice nel film. Nata e cresciuta a New York, padre mai conosciuto, madre che lavorava nelle pulizie alle Twin Towers, Linda Manz aveva esordito nel cinema proprio con il ruolo della sorellina di Richard Gere, Linda, in “I giorni del cielo”. Malick la scelse tra centinaia di ragazzine.
linda manz i giorni del paradiso
"Linda”, disse, “è il cuore del film. Era una sorta di bambina di strada che avevamo scoperto in una lavanderia a gettoni. Per il ruolo, avrebbe dovuto essere più giovane, ma non appena le ho parlato, ho trovato in lei la maturità di una donna di quarant'anni, non giudicante e lasciata alla propria immaginazione, aveva le sue idee che le davano l'impressione di aver realmente vissuto questa vita invece di dover inventare e giocare dentro un'altra”.
Malick si era così innamorato di lei che, non riuscendo a fare una voce fuori campo credibile del film, la affidò a lei, che commentava a modo suo le immagini che vedeva e la storia. 60 ore di nastri registrati con la sua voce…. “Sono contento che sia la narratrice. La sua personalità traspare nel film. Ogni volta che le ho dato nuove battute, le ha interpretate a modo suo; quando si riferisce al paradiso e all'inferno, dice che tutti noi stiamo bruciando fra le fiamme. Questa è stata la sua risposta al film il giorno in cui ha visto le riprese. Quel suo commento è stato incluso nella versione finale. Linda ha detto così tante cose che temevo di non essere in grado di mantenerle tutte...".
linda manz dennis hopper
Anche se non era mai parsa davvero interessata a fare l’attrice, era più il desiderio della madre fargliela fare, grazie al successo del film di Malick, venne chiamata da altri registi. La troviamo due anni dopo in “The Wanderers” di Philip Kaufman come Peewee, assieme a Karen Allen e Ken Wahl, un film che andò anche in concorso a Venezia. La troviamo poi nella sitcom “Dorothy”, in un piccolo ruolo di gangster in “Boardwalk” di Stephen Verona con Ruth Gordon, Lee Strasberg e Janet Leigh, nel televisivo “Orphan’s Train”, prima di arrivare, nel 1980, a “Out of the Blue” di Dennis Hopper.
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La sua Cebe cerca di superare i disastri della sua famiglia, madre drogata, padre assassino irresponsabile, ascoltando Elvis e la musica punk (“Il solo adulto che ammira è Johnny Rotten” è la frase di lancio del film). Il film viene lanciato a Cannes nel 1980, dove come ricordava il celebre critico Roger Ebert "ha causato un notevole scalpore e [Linda] Manz è stata menzionata come una delle migliori attrici. Ma in Nord America, i produttori canadesi del film hanno avuto difficoltà a trovare una distribuzione, e il film è scivolato via nel nulla". Eppure il film ha presto un culto che nessuna distribuzione gli avrebbe dato.
Il gruppo rock scozzese Primal Scream scrivono nel 2000 un pezzo, “Kill All Hippies”, ripreso dai dialoghi della Cebe di Linda Manz, "Destroy! Kill all hippies! Anarchy! Disco sucks! Subvert normality!". Anche se preferiva la disco alla musica punk, ha detto che il personaggio di Cebe era lei, “Credi che sono sempre una piccola ribelle. Una sopravvissuta, ecco potete chiamarmi così…”
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Il suo film successivo, “Longshots” di E. W. Swackhamer con Leif Garrett, è decisamente meno interessante. Finisce in un film d’arte ispano-tedesco, Mir reicht's - ich steig aus di Gustav Ehmck, poi in un episodio, “The Snow Queen”, diretto da Peter Medak, della curiosa serie tv di favole girate da registi importanti, “Faerie Tale Theatre”. Ma nel 1985 incontro un operatore alla macchina, Robert Guthrie, si sposano e tutti e due lasciano il cinema per vivere insieme con i loro tre figli.
Perché? Una delle sue risposte a un giornale negli anni ’90 fu "C'erano un sacco di nuovi giovani attori là fuori, e mi stavo perdendo nel caos", ha detto. “Così mi sono rilassata e ho avuto tre figli. Ora mi piace stare a casa e cucinare la zuppa”. La vita sociale da star, del resto, non le era mai piaciuta. Ritornerà al cinema solo per due ruoli importanti, in “Gummo” di Harmony Korine, dove è la mamma di un ragazzino, Solomon, e dove incontra Chloe Sevigny, e in “The Game” di David Fincher, dove è la compagna di stanza della protagonista Deborah Kara Unger. Ma gli ultimi anni della sua vita, da madre e da nonna, non devono essere stati perfetti. E’ morta di polmonite e di tumore ai polmoni. “Meglio bruciare che svanire?”
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