Marco Giusti per Dagospia
robert evans
“Quando è il regista che assume il produttore, sei nella merda. Il regista ha bisogno di un boss, non di un yes man”. Sette mogli e innumerevoli amanti, tre infarti, la villa che fu di Greta Garbo, “Woodland”, una serie di successi planetari, da Il Padrino a Love Story, da Il maratoneta a Chinatown, da Serpicoa Harold e Maude, un declino per abuso di cocaina, almeno tre resurrezioni, un’autobiografia che non dice tutto, ma quasi, il mondo del cinema perde Robert Evans, 89 anni, detto il Padrino di Hollywood, ma anche Bob “Cocaine” Evans.
Forse il più grande produttore americano rimasto. Una leggenda. Non solo portato sullo schermo prima da Robert Vaugn in S.O.B. di Blake Edwards e poi da Dustin Hoffman in Sesso e potere, ma lui stesso in grado di interpretare il personaggio di Irving Thalberg, il primo dei grandi tycoon di Hollywood, come attore all’inizio della sua carriera, e poi invitato da Elia Kazan a riprenderlo per Gli ultimi fuochi. Non lo fece, però, lasciando l’onore a Robert de Niro.
robert bob evans
Non ci sarà più un Robert Evans a Hollywood. Con le donne ebbe qualche problema. Sposò una serie di bellissime attrici, come Ali McGraw, la protagonista di Love Story, che gli dette un figlio, Josh, Camilla Sparv, Sharon Hugueny, Catherine Oxenberg, in un matrimonio che durò solo dieci giorni. Ma sposò anche la Miss America 71 e Miss Texas 70 Phyllis Ann George e Lady Victoria White.
Ebbe storie con star del calibro di Ava Gardner, Grace Kelly, Lana Turner, Margaux Hemingway e con la bellissima Barbara Carrera (“è donna al 100%, lei sa come farti sentire uomo”). Rispetto alle sue tante love story diceva: “Una storia d'amore può durare una sera, una settimana, un mese, anche per sempre. Ma c'è una grande differenza tra piacere, amore, innamoramento e lussuria”.
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Fascinoso e potente, Evans aveva le idee chiare sul suo ruolo nel mondo del cinema, ma non fu un produttore sporcaccione alla Weinstein. I suoi consigli alle giovane attrici erano: “Se ti avvicinano con la frase ‘Dovresti fare del cinema, sono un produttore", dì al tipo di fottersi di fottersi. È una truffa e i film in cui ti vuole mettere non andranno al cinema”.
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Dopo una piccola carriera da attore, una decina di film, da La rivolta di Haiti a Sinuhe l’Egiziano, da Il sole sorgerà ancora di Henry King a L’uomo dei mille volti, dove ebbe il ruolo di Irving Thalberg, entrò nella produzione e divenne capo della Paramount nel 1967 realizzando una serie di film innovativi e di successo, da A piedi nudi nel parco a La strana coppia, da The President’s Analyst a The Detective, da Il grintaa Harold e Maude, fino a successi planetari come Il Padrino e Love Story, oltre a Il Grande Gatsby, La conversazione, Rosemary’s Baby.
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Fu nel 1974 che decise di mettersi in proprio lasciando che la Paramount distribuisse i suoi film. Ma non ebbe sempre lo stesso successo. Se Chinatown, Il maratoneta e Black Sunday andarono benissimo, il Popeye di Robert Altman fu un flop. Rifiutà almeno tre film di grande successo, Airport, Lo squalo e Il braccio violento della legge. Ma il vero disastro fu la produzione di Cotton Club di Francis Coppola nei primi anni 80, un film che doveva produrre assieme a un impresario teatrale, Roy Radin, che venne ucciso nel 1983 in quello che verrà ricordato come il “Cotton Club Murder”.
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Glielo aveva presentato una sua amica, Karen Greenberger, sua amante e pusher di cocaina. Dalla storia non ne uscì benissimo, anche se era totalmente estraneo all’omicidio di Radin. E’ allora che sentenziò “Sulla mia pietra tombale vorrei che fossi conosciuto come Bob Cocaine Evans”. Da allora produsse pochi film e non sempre di successo, come il pur bellissimo Two Jakes, sequel di Chinatown diretto e interpretato da Jack Nicholson, Jade di William Friedkin, Silver di Philip Noyce, fino a Come farsi lasciare in 10 giorni.
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Fu un grande personaggio della New Hollywood a cavallo fra i 60 e i 70 che non riuscì sempre a ritrovarsi negli anni successivi, anche per colpe di droghe e eccessi di ogni tipo. Ma di certo lasciò un segno. “Il produttore”, diceva, “è l'elemento più importante di un film. È il produttore che assume il regista. . . Il produttore acquista la proprietà sulla storia, assume lo sceneggiatore, il regista; è coinvolto nella scelta di tutti gli attori, coinvolto nella produzione, nei costi, nella post-produzione e nel marketing. È su un film da quattro o cinque anni e gli viene dato molto poco credito”.
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