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    LA GUERRA DELLE BOLLICINE – IN RUSSIA È STATO VIETATO DI VENDERE LO CHAMPAGNE FRANCESE COME TALE, MA SOLO COME “SPUMANTE”. MENTRE IL TERMINE “CHAMPAGNE” VERRÀ UTILIZZATO PER I VINI FRIZZANTI MADE IN RUSSIA – OLTRALPE S'INCAZZANO E BERNARD ARNAULT HA BLOCCATO LE SPEDIZIONI DI BOTTIGLIE VERSO MOSCA - LA CROAZIA CHIEDE ALLA COMMISSIONE UE DI RICONOSCERE IL NOME “PROSEK” PER I PROPRI VINI FRIZZANTI. E IL VENETO (GIUSTAMENTE) INSORGE...


     
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    1 - "SOLO IL NOSTRO SI CHIAMA CHAMPAGNE" IL VINO DI PUTIN FA INFURIARE LA FRANCIA

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    Leonardo Martinelli per "la Stampa"

     

    Lo champagne (quello vero, made in France) non potrà più essere venduto in Russia come tale, ma solo come semplice «spumante».

     

    Il termine champagne, invece, sarà riservato ai vini effervescenti di provenienza russa. Sembra assurdo, ma è una realtà da venerdì, quando Vladimir Putin in persona ha firmato una legge con le nuove disposizioni. La risposta da Parigi non si è fatta attendere. Anzi, dal magnate del settore, il miliardario Bernard Arnault, proprietario di Lvmh e in assoluto maggiore produttore di champagne: ha subito bloccato le spedizioni di bottiglie verso la Russia.

     

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    È guerra delle bollicine tra Parigi e Mosca. Il Governo francese non ha ancora preso posizione, ma potrebbe farlo, perché lo champagne corrisponde a una «denominazione di origine controllata» e può essere prodotto solo in un perimetro ben circoscritto nell' omonima regione della Francia nord-orientale. Proprio lì Monsieur Arnault, negli anni, ha fatto incetta di ettari o ha concluso contratti di fornitura esclusiva coi viticoltori locali. È lui a controllare marchi come Moet et Chandon, Veuve Cliquot e Dom Perignon, apprezzati in tutto il mondo, anche da oligarchi e milionari russi.

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    Anna Chernyshova è a Mosca una consulente di vini, che aiuta la clientela più facoltosa a creare cantine con bottiglie eccezionali. «Il telefono non smette di suonare - ha detto alla France Presse -. I miei clienti cercano di capire cosa fare». D' altra parte, aggiunge, «tanti responsabili politici amano lo champagne francese, chissà che non finiscano col fare marcia indietro». Per il momento il blocco delle spedizioni delle bottiglie del gruppo Lvmh è stato deciso solo in maniera temporanea, il tempo «di trovare una soluzione appropriata».

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    Ma come gli è passato per la testa a Putin di fare il «ribaltone»? Lo spiega Sputnik, il sito russo rigorosamente pro Cremlino: «Il termine champagne, scritto in cirillico, è utilizzato in Russia dall' epoca sovietica per una bevanda tipo spumante prodotta a livello industriale. Grazie a una fermentazione accelerata, il ciclo di fabbricazione di questo «champagne sovietico» dura appena tre settimane, in distillerie che non sono associate a regioni vinicole particolari».

     

    È per difendere l' erede di questo champagne dell' Urss che Putin avrebbe messo la sua firma alla legge. Forse gli hanno pure spiegato che Arnault è vicinissimo a Emmanuel Macron, non proprio un suo amico I produttori francesi di champagne sono già intervenuti a più riprese per difendere le usurpazioni della loro Doc. Il primo luglio scorso, dopo una battaglia giuridica, durata anni, il tribunale di Monaco di Baviera ha dato loro ragione, proibendo alla catena tedesca dei supermercati Aldi di commercializzare un «sorbetto allo champagne», dove la bevanda è completamente assente (sostituita da un miscuglio di pera, zucchero, acido citrico e un tocco di alcool).

     

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    Un' altra causa è stata intentata ancora dal Civc, il Comitato interprofessionale dello champagne, contro l' utilizzo in Catalogna della parola «champanillo» per indicare generalmente dei locali dove si beve e si servono le tapas. È in corso un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia dell' Unione europea. Lì, l' avvocato generale, una figura indipendente, ha reso un parere favorevole all' utilizzo della parola «champanillo», che non corrisponde totalmente a champagne e nemmeno a una bevanda. I giudici della Corte dovranno decidere se confermare il parere oppure no.

     

    2 - SFIDA AL PROSECCO DALLA CROAZIA "L'EUROPA RICONOSCA IL PROSEK"

    Laura Berlinghieri per "la Stampa"

     

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    I vini del Veneto non sembrano avere pace. Dopo la sfida corsa lungo l' asse Treviso-Parigi, a seguito del lancio in pompa magna del francese Chandon Garden Spritz, adesso il rischio consiste in uno scontro diplomatico con la Croazia. Se, leggendo gli ingredienti del cocktail francese, i puristi rabbrividivano all' utilizzo del vino bianco frizzante al posto del Prosecco, ora la questione si fa ancora più seria. Perché la Croazia ha ufficialmente chiesto alla Commissione dell' Unione Europea il riconoscimento del marchio «Prosek», confidando evidentemente nel traino del nome trevigiano.

     

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    Dal Veneto i timori sono di segno opposto, e cioè che sul mercato i due marchi possano venire confusi dai clienti.

     

    La mossa croata non è una novità. Zagabria ci aveva già provato nel 2013 e allora la richiesta era stata rispedita al mittente, proprio in ragione dell' enorme assonanza dei nomi. Ironia della sorte, gli storici rivali delle bollicine, il Prosecco e lo Champagne, si ritrovano così impegnati nella stessa battaglia, anche se su fronti diversi, entrambi a est. Del resto, il vino trevigiano fa gola a molti, come dimostra l' esistenza del Prosecco dell' Australia e del Prosecco della Nuova Zelanda, che certo non hanno nulla a che vedere con il «vero» Prosecco, sostengono da Treviso, dove c' è già chi annuncia lo scontro, per non vedersi scippare uno dei simboli della regione.

     

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    A guidare il fronte del «No» è Luca Zaia, trevigiano, riuscito a fare ottenere alle colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene il riconoscimento Unesco di patrimonio mondiale dell' umanità. «Ogni tanto ci riprovano, come un vecchio tormentone. Ma il Prosecco ha una sua identità che non può essere assolutamente confusa. È scandaloso che l' Europa consenta di dare corso a simili procedure» ha detto il presidente veneto.

     

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    Se l' Europa non sarà vigile, Zaia annuncia una battaglia in tutte le sedi: «È una difesa della nostra storia e della nostra identità». Sulla questione è intervenuto anche l' europarlamentare Paolo De Castro, ex ministro dell' agricoltura, che ha inviato una lettera al commissario all' agricoltura della Commissione Ue, Janusz Wojciechowski: «Di fronte alla richiesta di tutela di una menzione, "Prosek", che altro non è se non la traduzione del nome "Prosecco", bisogna ricordare che il regolamento Ue sull' organizzazione comune dei mercati agricoli stabilisce che le denominazioni di origine e indicazioni geografiche protette devono essere tutelate da ogni abuso, imitazione o evocazione, anche quando il nome protetto viene tradotto in un' altra lingua». Paradossalmente, il vino italiano potrebbe trovare un insperato aiuto nel paesino triestino di Prosecco, dal 2009 inserito nell' area Doc.

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    Ai tempi della battaglia Tokaji - Tocai friulano, era stata proprio l' esistenza della storica regione ungherese a fare la differenza, così il vino italiano era stato costretto ad abbandonare il suo storico nome «Tocai». Adesso, con il Prosecco, il Friuli potrebbe prendersi una piccola rivincita.

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