Marco Carnelos per Dagospia
MARCO CARNELOS
"Caro Dago,
nell’imminenza della consultazione elettorale del 25 settembre, colgo nuovamente la tua sollecitazione a trattare questo importante appuntamento del nostro Paese nel contesto di uno scenario internazionale in drammatico mutamento. Il dato di partenza è che l'ordine mondiale, da 70 anni a guida americana, è in forte sofferenza. Secondo alcuni sta addirittura collassando, ma il problema principale è che non si intravede ancora se possa esservene un altro e con quale caratteristiche.
Dopo la fine della guerra fredda, nel triennio 1989-1991, abbiamo avuto una pace costruttiva, “calda”, ma è durata appena un decennio, gli anni 90’ del secolo scorso; poi è divenuta tiepida e oggi siamo nuovamente in una guerra fredda, anzi freddissima, a giudicare anche dalle ultime decisioni e dichiarazioni di Vladimir Putin circa i referendum nelle Repubbliche ucraine occupate, la mobilitazione parziale e le allusioni verso un uso dell’arma nucleare.
caduta del muro di berlino 2
I pilastri del cosiddetto “ordine mondiale basato sulle regole” - neoliberalismo, economia di mercato, finanza scarsamente regolamentata, e globalizzazione - sono tutti oggetto di discussione. Non solo da parte di chi li ha sempre avversati, ma anche all’interno delle “grandi” democrazie occidentali.
Il dato fondamentale è che, all'alba del ventunesimo secolo, la storia e la natura hanno iniziato a reclamare assertivamente le loro prerogative nei confronti di un'umanità troppo fiduciosa circa un futuro radioso contraddistinto da un inesorabile progresso.
GORBACIOV REAGAN 14
L’11 settembre e le lunghe e infruttuose guerre americane in Iraq e Afghanistan hanno offuscato la leadership unipolare degli Stati Uniti e la loro relativa incontrastata superiorità militare. La cosiddetta Pax Americana è ormai in crisi da circa un ventennio.
La crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ha sollevato forti dubbi sulla cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia” dove speculazioni e de-regulation, accompagnate da un’incontrollabile avidità, hanno prodotto disastri economici, severissime misure di austerità e generato massicce diseguaglianze. Non solo le fasce più povere della popolazione, ma anche le classi medie ne sono risultate in larga parte asfaltate.
IL MURO DI BERLINO 19
Dottrine economiche che negli ultimi quattro decenni sono state giudicate indiscutibili, come il monetarismo, sono finite sotto attacco. Atti di vera e propria blasfemia economica, come la stampa massiccia di denaro, sono divenuti normali, e la cieca fiducia nel ruolo equilibratore del mercato – la cosiddetta “mano invisibile” – sta venendo meno. Le crisi finanziarie e la pandemia hanno invece reso evidente la necessità di una “mano visibile”, quella dello Stato, che fino a qualche tempo fa era stato giudicato un anatema.
ronald reagan mikhail gorbaciov nel 1992
Una moltitudine di politici, economisti ed esperti ammantati di neoliberalismo hanno improvvisamente smesso di predicare le soluzioni che hanno propinato per quattro decenni.
La Cina ha iniziato lentamente a risvegliarsi, e sta riassumendo quel ruolo di potenza economica dominante nella storia dell’umanità che aveva detenuto fino alla metà del diciannovesimo secolo, ovvero, secondo il punto di cinese, prima di venire a contatto con l’imperialismo ed il colonialismo occidentali. Il problema è che Pechino ha deciso di andare oltre, con l’ambizione di divenire anche una grande potenza tecnologica (5G, Intelligenza Artificiale, computazione quantistica, etc.) e, purtroppo, militare.
PUTIN BIDEN
A Washington, comprensibilmente, sono iniziati a suonare una serie di campanelli di allarme. Gli Stati Uniti sono rimasti scioccati dalla repentina ascesa cinese e non manifestano, apparentemente, alcuna intenzione di condividere la loro pluriennale egemonia mondiale.
Del resto, è piuttosto difficile che due prime donne condividano lo stesso palcoscenico. Il minimo che possa accadere sono frizioni e provocazioni a ripetizione, e Taiwan ne è divenuto l’epicentro.
putin zelensky biden
Per quanto riguarda la natura, dopo essere stata stuprata dall'attività umana - in primo luogo dall'industrializzazione occidentale – essa sta ora minacciando il pianeta con una crisi climatica in drammatica accelerazione. Cito un solo dato, un terzo del Pakistan è attualmente sommerso da piogge torrenziali. Inoltre, le pandemie, come il Covid-19, stanno presentando nuove, dirompenti, minacce per l'umanità.
La crisi energetica sta complicando, e non poco, la Green Revolution. Addirittura, Elon Musk, (Elon Musk!) ha sostenuto che i combustibili fossili sono ancora necessari. Ridurre le emissioni globali è divenuto un obiettivo assai più complicato con l'economia mondiale diretta verso una probabile recessione.
xi jinping vladimir putin a samarcanda
La rabbia per situazione attuale e l’ansia per quella che ci riserverà il futuro – accompagnata dalla deprimente ed inedita prospettiva che le generazioni future potrebbero avere una vita peggiore di quelle attuali - sembrano essere i segni distintivi del nostro tempo. In circostanze così inquietanti, l’aspettativa minima, e di buon senso, è che le principali nazioni del mondo si rimbocchino le maniche e affrontino insieme questa vasta gamma di sfide. Scordatevelo!
Il sistema mondiale si sta ulteriormente fratturando. La miccia è stata l'invasione russa dell'Ucraina, ma le condizioni erano in atto ben prima dell’inizio guerra. In altre parole, mentre il presidente russo Vladimir Putin è il principale cattivo del momento, purtroppo non è l'unico. Contrariamente a quanto accaduto negli ultimi decenni, previsioni accurate sul futuro diventano quindi cruciali per meglio affrontare le molteplici sfide che si paventano.
xi jinping vladimir putin a samarcanda 5
Gli esordi non sembrano incoraggianti.
Nonostante la spasmodica – e a tratti imbarazzante, almeno per quei paesi che non sono membri del Commonwealth – copertura mediatica, uno dei più importanti eventi degli ultimi giorni, non sono state le solenni esequie della Regina Elisabetta II, ma il Summit della Shangai Cooperation Organization (SCO) svoltosi a Samarcanda.
Per i neofiti, la SCO è l’organizzazione a guida russo-cinese che sta determinando gli assetti dell’area geografica più importante del pianeta: l’Eurasia. Associa India, Pakistan e altri paesi dell’Asia Centrale ed Occidentale e rappresenta oltre tre miliardi di persone; tra qualche anno, secondo le stime, anche il 40% del PIL mondiale. In sintesi, un attore rilevante quanto se non addirittura più del G7 e dell’UE.
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Ebbene, la copertura mediatica occidentale dell’evento ha privilegiato unicamente la spasmodica ricerca di tensioni e differenziazioni semantiche tra Cina e Russia nel contesto del conflitto in Ucraina, quando la vera notizia è stata rappresentata dal numero di Paesi in coda per aderire alla SCO; ovvero: Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Bahrein. In sintesi, tutto il Medio Oriente, e tutti paesi alleati o stretti partner degli Stati Uniti. Vorrà pur significare qualcosa?
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Sicuramente Mosca e Pechino hanno opinioni diverse su molte questioni, inclusa l’Ucraina, ma il dado è ormai tratto. I due paesi sono sulla stessa barca, non possono tornare indietro; persino l'Economist lo ha riconosciuto nei giorni scorsi. La Cina si sta preparando per essere il più indipendente possibile su tecnologia, energia, cibo e finanza perché ha concluso che la linea punitiva che USA (e UE) hanno assunto contro la Russia a causa dell’invasione dell’Ucraina, verrà adottata anche contro Pechino. La lista delle rimostranze occidentali nei suoi confronti è altrettanto lunga: Taiwan, Hong Kong, il trattamento degli Uighuri nella provincia dello Xinjang, le ambizioni nel Mar Cinese meridionale e la presunta minaccia tecnologica gialla.
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Le prossime settimane saranno dense di occasioni per provare a tratteggiare il prossimo futuro. A metà ottobre, il XX Congresso del Partito Comunista Cinese dovrebbe conferire un inedito terzo mandato al Presidente Xi Jinping spianando la possibilità di una sua nomina a vita, con tutte le implicazioni che tale scelta comporterebbe. Ai primi di novembre, le elezioni di medio termine statunitensi certificheranno gli assetti in seno al Congresso USA e, contestualmente, la possibilità effettiva del Presidente Biden di portare avanti la sua ambiziosa agenda interna ed internazionale. Le previsioni non sono buone ma nulla è ancora perduto.
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Infine, a metà novembre, il G20 in Indonesia sarà un’occasione per verificare se tra Nord industrializzato a guida USA, e Global South sotto forte influenza Russo-Indo-Cinese, sarà possibile trovare un minimo comune denominatore per restituire uno straccio di Governance condivisa a questo disgraziato pianeta. Peraltro, Biden, Putin e Xi si troveranno faccia a faccia.
La verifica in seno al G20 appare tanto più necessaria perché quella che per qualche decennio abbiamo chiamato globalizzazione si sta sgretolando. La globalizzazione è stata alimentata per decenni dalla fornitura di gas a basso costo russo all'Europa che ha reso possibile a quest’ultima straordinarie performance in termini di export; e da un’esportazione massiccia di prodotti cinesi a basso verso gli Stati Uniti, che hanno sostenuto il sogno americano fondato su un consumismo sfrenato basato su un debito crescente e, secondo alcuni, difficilmente sostenibile nel tempo.
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Il sistema girava inoltre sul dominio finanziario americano costruito sul dollaro come valuta di riserva per gli scambi globali e, per decenni, è stato anche agevolato da un’inflazione bassissima e su tassi di interesse pari a zero se non addirittura negativi.
Questa situazione ideale sta venendo meno ed è a dir poco incerto se potrà essere ripristinata. L'egemonia finanziaria degli Stati Uniti è sempre meno tollerata da alcuni Paesi, poiché il potere finanziario USA è stato in diversi casi usato in modo punitivo contro chiunque non si allinei con le posizioni di Washington. Cina e Russia cercano valute di riserva e circuiti finanziari alternativi a quello statunitense.
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Le principali parole d’ordine del momento sono de-coupling e re-shoring. Ovvero la disarticolazione delle attuali catene di approvvigionamento globale. L’UE ha deciso di affrancarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia, ed è incerto se potrà sostituirla compiutamente. Se vi riuscirà, sarà sicuramente a condizioni più costose e, quindi, la competitività delle imprese europee sui mercati ne risulterà danneggiata. Gli Stati Uniti, almeno dal punto di vista dei decisori politici, vogliono affrancarsi dalle catene di approvvigionamento cinesi e dai flussi finanziari di Pechino.
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Alcune decisioni sono state già prese ed altre lo saranno presto, ma nessuno sembra essersi chiesto quali conseguenze avrebbero provocato sulla solvibilità delle imprese e sul tenore di vita dei consumatori.
Mentre in Ucraina si sta svolgendo una guerra tradizionale, una di natura economica e globale si sta sviluppando tra Stati Uniti, UE e Russia, e presto vi si aggiungerà la Cina. Il Sud del mondo sta osservando preoccupato, sperando di rimanere ai margini, ma potrebbe comunque risultarne coinvolto economicamente. Gli Stati Uniti stanno valutando sanzioni secondarie contro quei paesi che non si sono ancora allineati alle sanzioni contro la Russia, e una situazione simile potrebbe verificarsi nel prossimo futuro anche per quanto riguarda la Cina.
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L'inverno sta arrivando. L'Europa sembra procedere verso il razionamento energetico, mentre gli Stati Uniti hanno chiarito che non sono in condizioni di aiutarla con maggiori forniture energetiche di gas naturale liquefatto. Quaranta amministratori delegati delle principali industrie metallurgiche europee hanno indirizzato una lettera congiunta alle istituzioni dell'UE avvertendo che il loro settore affronta una minaccia esistenziale a causa degli alti costi energetici.
everything shortage
La Banca Mondiale ha appena pubblicato un rapporto in cui si afferma che "l'economia globale è nel bel mezzo di uno degli episodi più sincroni a livello internazionale di contemporaneo inasprimento della politica monetaria e fiscale degli ultimi cinque decenni". Tra le sue conclusioni c'è quella che una recessione globale potrebbe essere imminente.
L'ordine mondiale basato sulle regole guidato dagli Stati Uniti è stato spesso attuato con pregiudizi, ma la sua crisi è anche dovuta all'emergere di valori diversi, in particolare in Cina, Russia e nel Sud del mondo. Si può certamente discutere su questi valori ma, è difficile rimuoverli completamente dall’agenda.
rallentamento della supply chain
Il sistema globale potrebbe quindi evolversi lungo linee di civiltà dove, ad esempio, l’eccesivo individualismo e materialismo dell’Occidente incontrano stigmatizzazioni nel sud del mondo come pure la pretesa occidentale di rappresentare l’unico modello di governance planetaria.
Quella che forse appare necessaria è una ricalibrazione dell'ordine mondiale che, per funzionare più efficacemente e, auspicabilmente, equamente, dovrebbe essere basato su valori maggiormente condivisi e che riflettano, per quanto possibile, questa nuova, assai più caleidoscopica, realtà. Nelle condizioni attuali non sarà facile ma non vi sono alternative, a meno qualcuno non ritenga una deflagrazione globale un’opzione più percorribile. Il passaggio da un rules-based world order a guida occidentale ad un values-based world order per quanto possibile condiviso è inevitabile.
scaffali vuoti
Caro Dago, è in questo contesto magmatico che gli italiani sono chiamati al voto domenica prossima. Invece di discutere su questi temi che presentano implicazioni epocali, il dibattito elettorale, e la relativa copertura mediatica, si sono trasformate in un gigantesco referendum sulle capacità di governance di Giorgia Meloni.
scaffali vuoti al supermercato
Occorre tornare alle elezioni politiche del 1948 per trovare un’attenzione così marcata e polarizzata circa la collocazione e le scelte di politiche estera del nostro Paese. All’epoca si delineava la guerra fredda e, con essa, una vera e propria scelta di campo tra democrazia liberale e totalitarismo comunista. In quell’occasione, gli elettori italiani fecero la scelta giusta. Questa venne solennemente corroborata quattro decenni più tardi dal crollo del muro di Berlino.
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Oggi non ci troviamo dinanzi a quello spartiacque. Chi lo invoca opera una mistificazione. Lo stesso Biden ha dovuto riconoscere nel suo recente discorso di Filadelfia che le minacce alle democrazie occidentali sono anche – e, soprattutto, aggiungerei – interne. L’Italia è chiamata nuovamente fornire l’ennesima prova di affidabilità europeistica ed atlantica. Al punto che i due leaders dei principali partiti in competizione hanno sentito l’esigenza – mi si consenta assurda - di registrare dei videomessaggi in ben tre lingue diverse per inviare rassicurazioni e moniti ai nostri partners ed alleati.
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Si è trattato di un’iniziativa che ha rivelato una deprimente sudditanza psicologica verso l’estero e le percezioni internazionali nei confronti del nostro Paese. Come se quello che si pensa dell’Italia al di fuori dei nostri confini possa essere più importante di quello che pensano gli italiani a proposito di chi e come debba governare il loro Paese. Stento ad immaginare iniziative analoghe nei nostri paesi partner ed alleati. Dopo secoli, uno dei tratti distintivi del nostro DNA politico resta la ricerca di sponde esterne; un atteggiamento che continua a sfigurare la nostra dignità nazionale.
Caro Dago,
coloro che si affannano a presentare le scelte del 25 settembre 2022 in termini apocalittici, analoghi a quelle effettuate del 1948, stanno operando una mistificazione. Asserire che è in discussione il collocamento internazionale del nostro Paese è una palese forzatura. Per fortuna, non esiste in Italia una massa critica sufficiente per rimettere in discussione le scelte internazionali fondamentali effettuate dal nostro Paese qualche decennio addietro, ovvero NATO e UE.
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Permane tuttavia un refrain mentale che identifica qualsiasi critica (anche costruttiva) indirizzata verso Bruxelles, sia nella sua articolazione NATO, che in quella UE, come una pericolosa forma di tradimento che metterebbe a rischio la democrazia nel nostro Paese.
Si dovrebbe invece poter liberamente discutere se le nostre scelte e il nostro relativo collocamento internazionale debbano e possano essere meglio declinati con due finalità ben precise:
- la migliore tutela degli interessi nazionale del nostro Paese, ovvero dei suoi cittadini e della nostra economia;
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- contribuire ad evitare una situazione internazionale che possa sfuggire ad ogni controllo e innescare un conflitto globale di proporzioni incalcolabili.
Naturalmente, è difficile discutere e ragionare, coinvolgendo anche l’opinione pubblica, sugli scenari internazionali. Quest’ultimo, negli ultimi anni, è divenuto sempre più volatile, incerto, complesso ed ambiguo. L’acronimo anglosassone in voga per sintetizzarlo è infatti VUCA (Volatile, Uncertain, Complex, Ambigous).
Nelle competizioni elettorali, peraltro, tali difficoltà aumentano. Si tende ad iper semplificare, sfumature e complessità vengono rimosse, occorrono messaggi semplici ed evocativi – che devono peraltro adattarsi ad un formato mediatico con tempi compressi – e che possano mobilitare l’elettorato, generalmente in due campi avversi. Siamo nell’era della polarizzazione.
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Anche qui grossolani processi di rappresentazione prevalgono sulla realtà. Si va per slogan in ottemperanza ai criteri tribali imposti da spin doctors e social networks. Si tende a schierarsi in campi contrapposti o perlomeno ad offrire la percezione che ci siano due scelte di campo diverse da cui deriverà un futuro diverso per il nostro Paese.
Ma questa è una rappresentazione, non è la realtà.
Non si tratta di uscire dalla NATO e dall’UE, ma di trovare un modo più intelligente di operare all’interno di tali consessi per tutelare meglio, come fanno i nostri partner senza alcun complesso, i nostri interessi e di contribuire affinché il processo decisionale a Bruxelles sia caratterizzato da maggior visione e lungimiranza.
Un cordiale saluto
Marco Carnelos
23 Settembre 2022