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Sara Ricotta Voza per “la Stampa”
Un altro scrigno italiano che si apre, e non è una chiesa né una villa patrizia o una fondazione privata. È un luogo pubblico pieno di arte pubblica, è una università. Quella di Padova, famosa da saperne tante cose, ma non tutto.
Sappiamo che con i suoi quasi 800 anni è il secondo ateneo più antico dopo Bologna e che proprio da un gruppo di «sbolognati» fu fondata, docenti e studenti in fuga dallo Studium petroniano in cerca di più libertà. Sappiamo che vi hanno insegnato e studiato personaggi illustri, da Galileo in giù, e che ha molti primati: la prima donna laureata al mondo, il primo orto botanico, il primo teatro anatomico stabile.
Quel che non sappiamo è che la sua storia si può raccontare anche attraverso gli edifici, le opere d’arte e gli arredi che l’ateneo ha commissionato creando un luogo unico, sintesi di antico e moderno dove si vive e si lavora.
Non solo ’300 e ’500
Da domani l’università apre alle visite non solo la sua parte «classica» del Trecento e Cinquecento, ma per la prima volta anche l’ala novecentesca, sconosciuta ai più forse per la damnatio memoriae degli anni cui risale, Trenta e Quaranta. Fu infatti un rettore fascistissimo, ma illuminato a volere la costruzione di nuovi edifici e la risistemazione dello storico Palazzo Bo. Carlo Anti si chiamava, era archeologo e credeva nella continuità fra classico e contemporaneo, che volle fosse ben rappresentata.
Per farlo, il rettore ebbe carta bianca e chiamò l’architetto Gio Ponti, il quale convocò i migliori artisti grazie a una legge del ’42 che stabiliva per le amministrazioni pubbliche l’obbligo di destinare il 2% dei finanziamenti all’abbellimento artistico. Strumento di controllo e propaganda, la norma ha però permesso la nascita di un «laboratorio totale delle arti» che grazie a un’opera di tutela quotidiana è giunta perfetta fino a oggi.
«I colleghi che vengono dall’estero restano tutti a bocca aperta» racconta il rettore Giuseppe Zaccaria che ha voluto l’apertura di quest’ala; «Perché lasciarla fruire solo a un uditorio privilegiato? Un bene antico è un patrimonio da mettere a disposizione; in maniera sensata e non invasiva, ma è questa la vera molla per lo sviluppo del paese, assieme all’innovazione e alla ricerca».
«Dotte conversazioni»
Gio Ponti iniziò costruendo la nuova sede delle facoltà umanistiche, il Liviano, così chiamato dalla statua del Tito Livio pensoso che commissionò a Arturo Martini per l’atrio. Intorno, fece affrescare le pareti a Massimo Campigli che rappresentò l’archeologia come patrimonio degli accademici e del popolo. Per sé Gio Ponti riservò la progettazione di esterni e interni, dalle fondamenta ai portaombrelli.
Lo stesso fece nel risistemare Palazzo Bo. Qui fu chiamato a ideare il «Circolo dei professori». Quel che voleva il rettore Anti erano luoghi che favorissero «dotte conversazioni» fra i docenti sia nelle pause fra una lezione e l’altra sia in cene e concertini come alternativa alle sale del caffè Pedrocchi. Così grazie alle nuove visite guidate oggi si può accedere alla sala di lettura con i suoi divani, le poltrone, il mobile-bar di Gio Ponti.
Da qui si passa nella sala da pranzo con l’enorme tavolo e i centrotavola firmati Carlo Scarpa e realizzati da Venini nelle forme dei simboli delle facoltà; un grande passavivande a specchio porta in cucina, sempre firmata Ponti. I professori dopo il pranzo passavano nella sala del camino, dove l’architetto-designer non ha tralasciato di creare i tavolini per giocare a carte completi di posacenere, e poi portariviste, lampade e console.
Ponti rinnovò anche le sale lauree chiamando Achille Funi ad affrescare quella di medicina e Gino Severini a creare un mosaico per quella di giurisprudenza, mentre un inedito Piero Fornasetti pittore affrescava il corridoio prima di essere chiamato alle armi. Per sé Gio Ponti riservò gli affreschi della Scala del Sapere di accesso al rettorato con ai piedi un Palinuro di Arturo Martini.
Come dice il rettore Zaccaria, lavorare in questo total-Gio Ponti «non è come essere in ufficio; è un conforto per gli occhi e un privilegio». Da domani condiviso con i visitatori.
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