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    LA CLAMOROSA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI FIRENZE: HA RINVIATO ALLA CONSULTA IL CASO DI UN IMPRENDITORE, ACCUSATO DI OMICIDIO COLPOSO PER LA MORTE DI UN OPERAIO CADUTO DAL TETTO DELLA SUA AZIENDA. IL DIPENDENTE ERA SUO NIPOTE, E COSÌ, PER IL GIUDICE, VA CONSIDERATO CHE “HA GIÀ PATITO UNA SOFFERENZA MORALE PROPORZIONATA ALLA GRAVITÀ DEL REATO…”


     
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    Estratto dell’articolo di Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”

     

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    Il datore di lavoro dovrebbe essere condannato, non c’è dubbio, per omicidio colposo del suo operaio caduto dal tetto. Ma il morto era suo nipote. E così per il giudice va considerato che, «per effetto della propria condotta, ha certamente già patito una sofferenza morale proporzionata alla gravità del suo reato, con la conseguenza che una ulteriore pena inflitta con la sentenza di condanna sarebbe sproporzionata».

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    Perciò un giudice del Tribunale di Firenze, Franco Attinà, solleva alla Consulta una questione di incostituzionalità dell’articolo 529 del codice di procedura che, tra i possibili casi di non luogo a procedere, non prevede anche che «nei reati colposi il giudice possa astenersi dal condannare l’imputato allorché questi abbia già patito (avendo cagionato la morte di un congiunto) una sofferenza proporzionata alla gravità del reato commesso».

     

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    È il tema delle «pene naturali», effetti del reato che si abbattono su chi lo ha commesso, e può riguardare ad esempio il marito conducente che sopravviva alla moglie in un incidente da lui provocato; la madre che in un attimo di distrazione non vigili sul figlioletto poi annegato in piscina o investito in strada; il padre sopra pensiero il cui neonato scordato d’estate in auto con i finestrini chiusi finisca per soffocare, o il cui bimbo si faccia male in un crash perché non allacciato dal familiare al seggiolino.

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    Ed è un tema non considerato dall’ordinamento italiano, sicché è comprensibile che l’ordinanza fiorentina stia interessando i giuristi […]

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