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WASHINGTON CHIAMA, GIORGIA RISPONDE: IL GOVERNO HA SCELTO DI USCIRE DALL’ACCORDO CON LA CINA SULLA VIA DELLA SETA – LA DISDETTA ITALIANA È UNA DELLE CONDIZIONI DI UNA “RELAZIONE SERENA” FRA MELONI E BIDEN, CHE LA RICEVERÀ ALLA CASA BIANCA A GIUGNO (ANCHE SE GLI AMERICANI SONO INCAZZATISSIMI CON ROMA PER IL CASO DELLA FUGA DI ARTEM USS) – PALAZZO CHIGI NON VUOLE STRAPPI CON PECHINO MA QUESTO E’ IL PROBLEMA DELLA "THATCHER DELLA GARBATELLA". COME DAGO DIXIT, LA MELONI HA TROPPI INTERLOCUTORI IN CONFLITTO TRA LORO DI CUI DEVE CONQUISTARE LA FIDUCIA. ACCONTENTARE UNO, SIGNIFICA SCONTENTARE GLI ALTRI - DAGOREPORT

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https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/dagoreport-rsquo-italia-trazione-meloni-non-conta-cazzo-livello-351929.htm

 

Estratto dall’articolo di Marco Galluzzo per il Corriere della Sera

 

meloni xi jinping

Da poche ore è arrivato a Pechino il nuovo ambasciatore italiano, Massimo Ambrosetti. Giorgia Meloni lo ha scelto, contrariamente alle attese, per due motivi: è un grande esperto di cybersecurity e vanta studi accademici di grande rispetto, compreso un Phd a Cambridge, sulla Cina e l’ascesa economica del colosso diretto da Xi Jinping. Ambrosetti ha salutato i colleghi della Farnesina condividendo due impressioni relative a uno dei dossier più delicati che dovrà gestire: l’Italia ha già deciso di uscire dal discusso accordo commerciale con i cinesi siglato sotto il governo Conte I, gli americani ne sono stati informati.

 

A meno di venti giorni dal G7 di Tokyo, dove i leader discuteranno a lungo delle relazioni dell’Occidente con Pechino, ritorna alla ribalta la decisione che entro la fine dell’anno Meloni dovrà prendere: restare o meno dentro il Memorandum che lega l’Italia, unico Paese del G7, alla Belt and Road Initiative dei cinesi (Bri). Per uscirne Roma dovrà dare una disdetta entro dicembre e alcune indiscrezioni giornalistiche raccontano di una pressione sempre più forte di Washington su Palazzo Chigi.

 

(...) È una delle condizioni (la disdetta italiana) di una relazione serena fra Giorgia Meloni e Joe Biden, che la riceverà alla Casa Bianca a giugno.

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Secondo quanto risulta al Corriere, in ogni caso, non esiste alcuna pressione americana per un semplice motivo: già da alcuni mesi interlocuzioni periodiche fra gli staff dei due presidenti, incluse visite ufficiali e ufficiose, hanno al centro del confronto il dossier Bri. E alla Casa Bianca sanno benissimo, perché così gli è stato in qualche modo garantito, che il problema «non è il se ma il quando», e ovviamente questo lo deciderà Meloni, magari durante la visita a Pechino, entro la fine dell’anno.

 

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Il confronto periodico fra Roma e Washington, sia a livello governativo che di apparati di sicurezza, da quando si è insediata la premier, viaggia sulla costruzione di un facing out dall’accordo dato da entrambi gli interlocutori per scontato. Il Memorandum sotto il governo Draghi è restato congelato e lo è tuttora.

 

A meno che Giorgia Meloni non cambi idea, ci sarà da costruire un paracadute di sicurezza per non compromettere le nostre relazioni con Pechino, ma è sempre nel nostro governo che si raccoglie una considerazione di sostanza, non di forma: «Macron non è entrato nella Bri, ma fa affari su tecnologie strategiche con i cinesi». E dunque non è detto che Xi Jinping non possa rinunciare ad avere l’Italia come fiore all’occhiello democratico dentro il suo grande progetto, se avesse delle contropartite sostanziali.

 

C’è un altro dossier che Meloni ha dovuto gestire nelle ultime ore: nel corso della visita a Londra il premier Rishi Sunak ha chiesto l’appoggio per rafforzare la candidatura del suo ministro della Difesa, Ben Wallace, alla futura guida della Nato. La presidente del Consiglio ha registrato la richiesta, ma nulla di più (...)

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