Estratto dell’articolo di Emanuele Bonini per www.lastampa.it
salute mentale
L’organizzazione mondiale della sanità (Oms) la definisce come uno stato in cui le persone affrontano bene i molti stress della vita, possono realizzare il loro potenziale, possono funzionare in modo produttivo e fruttuoso e sono in grado di contribuire alle loro comunità. L’Unione europea la considera un problema, in crescita e quindi di prospettiva, da affrontare.
La salute mentale è una sfida, di quelle vere. A oggi si sa solo che colpisce almeno 84 milioni di persone, vale a dire un individuo su sei, e che sulla scia pandemia di Covid-19 «i numeri sono peggiorati». Numeri contenuti, perché stimati. […]
salute mentale
Stress, ansia, disagio, depressione, esaurimento nervoso: tutto questo, in termini economici, «può raggiungere fino al 4% del prodotto interno lordo (Pil) dell'Ue all'anno», vale a dire «oltre 600 miliardi di euro all'anno», rileva uno studio redatto dai servizi del Parlamento europeo. Seicento miliardi di soli costi diretti tra riduzione della produttività, costi sanitari e spesa per la previdenza sociale.
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La salute mentale non è trattata allo stesso modo. Lo dimostra il numero di posti letto per 100mila abitanti in strutture medico-ospedaliere. Se in Belgio se ne contano 73, in Italia appena 8. Per fare un raffronto: il Belgio, con un quinto popolazione dell’Italia (11,6 milioni di persone contro i 58,9 milioni dello Stivale) ha una capacità di nove volte superiore alla risposta tricolore in termini di cure assistite.
salute mentale
Il documento dello staff del Parlamento europeo non suggerisce solo la necessità di una riforma della sanità. Anche la riforma del mercato del lavoro si rende necessaria, visto che «il lavoro precario aumenta le possibilità di deterioramento della salute mentale del lavoratore».
Qui il rilievo sembra rispondere ad un identikit molto italiano, visto che, secondo gli ultimi dati Eurostat, si registrano circa 2,5 milioni tra uomini e donne tra i 18 e i 64 anni alle prese con la cosiddetta «povertà lavorativa», vale lavorare per guadagnare poco, e che l’istituto di statistica europeo collega a contratti atipici e regimi di partite Iva.
Ma le cose non sono rosee neppure per chi ha una situazione più stabile. «Il 50% dei lavoratori teme che la divulgazione di una condizione di salute mentale possa avere un impatto negativo sulla propria carriera», avverte il documento del Parlamento europeo. Un altro aspetto si collega all’esigenza di interventi nel mercato e nel posto di lavoro.
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L’Ue, tra bilancio pluriennale e Recovery Fund, ha garantito fin qui 1,23 miliardi di euro a sostegno di attività per il benessere mentale. Non è poco ma in realtà lo è, e il grosso dovranno farlo gli Stati.
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