Marco Giusti per Dagospia
luca barbareschi THE PENITENT – A RATIONAL MAN
Ma che? Non mi vedo un film diretto e interpretato da Luca Barbareschi tutto parlato in inglese dall’inizio alla fine? Non è il paladino della nuova cultura di destra? O magari è troppo anche per Sangiuliano e Buttafuoco… Forse uno dei film più stracult della Mostra del Cinema di Venezia, secondo solo a “The Palace”, cinepanettone di Roman Polanski&Jerzy Skolimowski, coprodotto da Barbareschi che lo interpreta anche nel ruolo della star del porno Bongo, film che andrebbe distribuito a Natale col titolo “Natale a Gstaad” e rinforzato con qualche “me la ciula, me la ciula” di Massimo Boldi, è stato presentato ieri, fuori concorso perbacco!, anche il film prodotto, diretto e interpretato da Luca Barbareschi, “The Penitent – A Rational Man”, sceneggiato dal venerato David Mamet.
the palace di roman polanski
E’ il quarto film da regista di Barbareschi, dopo gli stracultissimi “Ardena”, commedia girata a Calcata che cambiò titolo, dice la leggenda, quando i produttori riconobbero una certa assonanza tra Calcata e un’altra parolina che si otteneva togliendo la t, “Il trasformista”, commedia di satira politica, incredibile primo e unico film dedicato agli onorevoli che passano da sinistra a destra o da destra a sinistra girato, se non sbaglio, in pieno governo Berlusconi nel 2002, l’action italo-cinese “Something Good-The Mercury Conspiracy”, del 2013, tratto dal racconto di Massimo Carlotto, dove Barbareschi si atteggiava un po’ a Keanu Reeves con giaccone di pelle, mitra in mano, occhialoni neri e ambientazione cinese.
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Riconoscendo, nel bene e nel male a Luca Barbareschi un invidiabile coraggio nel produrre, mettere in scena, interpretare film del tutto diversi e sempre bigger than life, e ricordando un altro suo capolavoro da produttore e attore, forse quello che preferisco, “Dolceroma”, dove fa una sorta di imitazione grottesca del produttore romano eccessivo e egoriferito alla Valsecchi, qui siamo in un contesto del tutto diverso.
luca barbareschi THE PENITENT – A RATIONAL MAN
Tratto da una sceneggiatura di David Mamet che si rifà a un vero fatto accaduto qualche anno fa in California, “The Penitent” mette in scena la crisi morale e professionale di un ricco psichiatra ebreo americano, dovremmo essere e a New York, di fronte al fatto che un suo paziente, interpretato dal simpatico Fabrizio Ciavoni, giovane critico scoperto attore prima da Stracult poi da Walter Veltroni nel terrificante “Quando”, ha ucciso in una scuola otto ragazzi e lo accusa di omofobia per una frase ripresa dalla Bibbia sull’omosessualità.
luca barbareschi THE PENITENT – A RATIONAL MAN
Sia per il giuramento d’Ippocrate, che lega i medici a non rivelare nulla sui loro pazienti, sia per problemi legati alla religione ebraica, il processo al ragazzo killer, vediamo il volto di Ciavoni stampato ovunque sui cartelloni luminosi di New York assieme a quello del suo psichiatra, con effetto non proprio riuscito, diventa un processo alla cultura religiosa e al codice etico del medico, che si ostina a non voler rivelare nulla di quanto sa e pensa in privato del ragazzo. E non vuole testimoniare a suo favore da medico proprio per il rispetto dei propri codici.
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Così alla fine il processo diventa una guerra di culture e di diversi modi di leggere il passato e la storia. Costruito con grandi scene madri molto teatrali dove Barbareschi, in modalità Al Pacino con sigaro e kefiah, si confronta con la moglie, con l’avvocato, con un giudice nero, tutti bravi attori, e sbotta in una filippica acchiappa-Genny Sangiuliano contro il politicamente corretto e la cancel culture un po’ da talk di Rete 4, è un film dove si urla un po’ troppo e non c’è modo di seguire con grande attenzione un testo davvero molto teatrale e molto ebreo-americano. Non si capisce bene a quale pubblico sia indirizzato il film, da noi non se lo bevono di certo, io sono scappato a cinque minuti dalla fine perché mi aveva stancato.
luca barbareschi THE PENITENT – A RATIONAL MAN
Confesso. Detto questo preferiamo il Barbareschi meno impegnato e più grottesco di “Dolceroma” e “Il trasformista”. E, ovviamente il Barbareschi boldiano di Bongo. Qui, a parte il tour de force di essersi imparato 160 pagine di testo inglese a mente, lo ha dichiarato lui, ci sembra sempre eccessivo e sopra le righe. E in sala i fan di Ciavoni hanno dedicato al giovane critico un applauso maggiore di quello dedicato al protagonista. Ma il povero Ciavoni, che si immola come mostro in foto, non apre mai bocca nel film. Ohibò!
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