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    LE BANCHE CENTRALI SONO IN UN VICOLO CIECO - IL PROBLEMA È LEGATO AI BILANCI, GONFI DI ASSETT SOTTO OGNI FORMA, CON LE DETENZIONI DI BOND STATALI O CORPORATE A FAR LA PARTE DEL LEONE. NEL COMPLESSO, SI TRATTA DI UNA CIFRA PARI A 19.400 MILIARDI DI DOLLARI, DA CONFRONTARE CON GLI APPENA 6MILA MILIARDI DEL 2008. DOPO DIECI ANNI RISCHIAMO QUINDI DI TORNARE ALLA GRANDE RECESSIONE. CON LE STESSE MISURE NON PIÙ TEMPORANEE, MA PERMANENTI


     
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    Rodolfo Parietti per “il Giornale”

     

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    «Washington, abbiamo un problema». E non solo lì, ma anche a Francoforte, Londra, Tokyo e Pechino, ovvero dove sono dislocati i quartier generali delle principali banche centrali. Il problema è legato ai bilanci, gonfi di assett sotto ogni forma, con le detenzioni di bond statali o corporate a far la parte del leone. Nel complesso, si tratta di una cifra pari a 19.400 miliardi di dollari, più dell' intero Pil statunitense, da confrontare con gli appena 6mila miliardi del 2008.

     

    Tutto infatti è cominciato proprio quell' anno, quando per fronteggiare il disastro epocale provocato dal virus dei mutui subprime, la Federal Reserve ha dato il via a tutta una serie di misure di allentamento quantitativo. Finendo per ampliare il proprio portafoglio da 1.000 fino a 4mila miliardi, un valore quattro volte superiore a quello delle crisi precedenti.

     

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    Con la Grande recessione diventata poi un fenomeno su scala globale, anche gli altri istituti di emissione hanno seguito l' esempio di Eccles Building. Anche se tardivo rispetto alle consorelle, l' intervento della Bce innescato dal celeberrimo «Whatever it takes» di Mario Draghi ha spostato da 1.500 a 4.700 miliardi il peso dei titoli in pancia all' Eurotower.

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    Naturalmente, le cifre in valore assoluto hanno un valore relativo, in quanto andrebbero rapportate al Pil di ogni singolo Paese (o area). Così, se lo sforzo prodotto dalla Fed è quantificabile in un 22% circa, tre punti in meno della Bank of England, quello della Bce ha sfiorato il 30%; peggio ancora il carico sopportato dalla Bank of Japan (45%), mentre è astronomico quello sostenuto dalla banca centrale svizzera (83%) soprattutto per lo shopping miliardario di titoli azionari (Berna è, a titolo d' esempio, uno dei principali soci di Apple) allo scopo di contenere l' ascesa del franco.

    BANCHE SVIZZERE BANCHE SVIZZERE

     

    Il punto è però un altro. Ed è cruciale per capire cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi. Come è intuibile dall' ammontare complessivo degli asset ancora posseduti, il cosiddetto processo di normalizzazione che avrebbe dovuto riportare i bilanci a un livello fisiologico, rimane letteralmente incompiuto.

     

    Salvataggio delle banche americane Salvataggio delle banche americane

    Anzi, con il progressivo rallentamento della crescita mondiale e segnali di recessione che spuntano come tanti fiori del male (anche grazie al concime dei dazi), quello slancio virtuoso verrà letteralmente spazzato via da nuove misure non convenzionali. Con una differenza rispetto alle crisi precedenti: le banche centrali si trovano in una posizione scomoda.

     

    Prima dello scoppio della bolla delle dotcom, all' inizio del 2000, i tassi Usa erano al 6,5%, e sopra al 5% all' epoca del disastro dei mutui, mentre ora sono al 2,5%; quelli della Bce erano attorno al 4% 10 anni fa e ora sono inchiodati a zero.

    L' indebolimento del ciclo economico sorprende insomma le banche centrali con scarse - se non nulle - munizioni sul versante del costo del denaro.

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    Resta, quindi, il bazooka del quantitative easing, che ha però come controindicazioni un ulteriore rigonfiamento dei bilanci, dei listini finanziari e dell' indebitamento. Quegli stessi debiti, pari a livello globale al 240% del Pil, che in tutti questi anni hanno contributo all' ottenimento di tassi di crescita altrimenti non realizzabili. Anche a causa del restringimento della forza lavoro dovuto in parte all' invecchiamento della popolazione.

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    Dopo dieci anni rischiamo quindi di tornare al punto di partenza. Con le stesse misure non più temporanee, ma permanenti.

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