Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
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Non possiamo giurare che la Roma “minima” dissimulata e velata mercoledì a Trigoria contro l’Ascoli sia stata una scelta per proteggere la Roma “massima” che domani ad Haifa se la giocherà probabilmente all’ultimo sangue con il Tottenham. Possiamo solo ipotizzarlo.
Abbiamo, invece, le nostre ragioni per credere che il sanguinario palato del nostro Mou assapori da giorni, forse da mesi, l’idea eccitante di dare un lezione ai non più suoi Spurs, mai stati veramente suoi. Meglio ancora se si dovesse trattare di una solenne batosta. Tante e buone ragioni. A cominciare dall’uomo che strepiterà sulla panchina degli inglesi. Antonio Conte.
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La sua fuga dall’Inter ci ha imperdonabilmente privato in campionato della sfida delle sfide. José versus Totò, lo Sciamano contro il Martello. Ci si leccava dita, baffi e barba solo all’idea della riedizioni dei fasti e dei vespri inglesi tra i due. Saltata anche la sfida di Conference Cup, la per niente amichevole di domani sarà un interessante surrogato in mancanza di meglio. I due non si amano e fanno poco per nasconderlo. Antonio Conte ci ha provato a farselo amico il Mou, senza mai trovare una vera sponda. Per lo più rimbalzato. Si è applicato, allora, dopo aver perso tempo ed energie nervose a detestarlo, a emularlo almeno nell’immagine pubblica. Anche qui, risultati modesti. Si è messo a evocare nemici, emanare editti, assegnare scomuniche.
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Ma, se a José Mourinho basta uno sguardo o una battuta per incenerire il mondo, il bel povero Antonio deve sgolarsi, sbracciarsi, tarantolarsi, dar fondo a tutto il repertorio barocco e furente della sua terra, senza nemmeno sfiorare i risultati di José. L’uomo di Setubal può avere rivali come allenatore, non certo in quanto a talento scenico. Conte vince i titoli come Mou ma non è e non sarà mai un predatore di anime. Non seduce i suoi giocatori, forse li spaventa.
Troppi gli incroci pericolosi tra i due. L’ultimo la Roma. Respinta e quasi sprezzata da Conte quando James Pallotta, in pieno marasma societario e tecnico, pensò di affidarsi a un leader forte per ripartire, l’uomo di Lecce appunto. Sfida invece accettata due anni dopo da Mourinho e possiamo dire, se non vinta, certo molto ben incamminata. C’è stata l’Inter, ma anche lì non c’è storia. Conte vince lo scudetto anni dopo l’irripetibile triplete di Mourinho.
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Anche quando si tratta di svignarsela, non c’è partita. Mou lo fa genialmente, piangendo e ridendo la notte stessa del trionfo in Champions. Antonio si sfila in gran segreto dall’Inter due giorni dopo lo scudetto, senza nemmeno una parola pubblica ai tifosi. Resta il Tottenham la partita aperta tra i due, dove Conte rischia seriamente di avere la meglio. Al momento è in lieve vantaggio. L’ultima cacciata anzitempo dalla panchina degli Spurs resta una pulce grossa come un elefante nell’orecchio di Mou. Una settimana prima della finale della “sua” coppa di Lega. Affronto inaudito. Una mano di fango sulla sua storia quasi immacolata. Allontanato dopo due anni sofferti e un rapporto mai decollato veramente. «Mourinho? Catenacciaro e timoroso. In declino anche come motivatore…».
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Raccontato dai tanti nemici come la Gloria Swanson degli allenatori all’inizio del suo tramontante viale. Storia, invece, fin qui eclatante quella di Antonio, che raccoglie i resti avariati di Kane e compagni e li porta in Champions. Divertimento garantito domani. Mou avrà in Dybala il suo speciale e inatteso alleato. Chissà se Zaniolo. Che, guarda il caso, Conte vorrebbe portare a sé. Magari per raccontare un giorno, alla faccia di Mou, come si fa a trasformare un talento discontinuo in un conclamato campione.
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