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    MANCINI E QUELL’ABBRACCIO INFINITO ALL’AMICO LUCA VIALLI - "IN QUEL GESTO C’È TUTTO: LA GIOIA, I NOSTRI SENTIMENTI, IL MOMENTO DIFFICILE CHE STAVA VIVENDO LUCA, LA SUA LOTTA CONTRO LA MALATTIA, LA CONQUISTA DELL’EUROPEO A LONDRA, CASA SUA: VINCERE LÌ PER LUI È STATO IMPORTANTE – LUCA HA SEMPRE LOTTATO MA NEGLI ULTIMI GIORNI ERA UN UOMO STANCO, SFINITO. NEI POCHI MOMENTI DI LUCIDITÀ REAGIVA E TORNAVA AD ESSERE LUI CON IL SUO SORRISO” - VIDEO


     
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    Daniele Dallera per corriere.it

    VIALLI MANCINI VIALLI MANCINI

     

    «Luca è vicino a me, a noi, sono convinto che sia così anche per Sinisa: lo spero e lo sento». La fede aiuta Roberto Mancini in questi giorni di dolore, quando la morte ti porta via l’amico più caro, Gianluca Vialli, il compagno di sempre, di una vita regalata al calcio, prima in braghe corte e poi in giacca e cravatta, Mancini c.t. dell’Italia e Vialli alto dirigente (ma non alto papavero, umanità e competenza lo hanno preservato) della Nazionale.

     

    ROBERTO MANCINI E GIANLUCA VIALLI A CHE TEMPO CHE FA ROBERTO MANCINI E GIANLUCA VIALLI A CHE TEMPO CHE FA

    «Chiariamo una cosa, Vialli non l’ho chiamato io in Nazionale. Nominarlo capo delegazione è stata una felicissima intuizione di Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio: quando mi ha chiesto cosa ne pensassi del coinvolgimento di Luca, naturalmente gli ho detto di sì, il presidente ed io sapevamo quanto sarebbe stato importante per la Nazionale: il merito è di Gravina».

     

    Perché Vialli è stato importante per la Nazionale?

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    «Conosceva il calcio, il nostro mondo. Era un capodelegazione atipico, rappresentava il presidente Gravina e la Federazione presso la squadra, ma la sua interpretazione del ruolo è andata oltre. Stava vicino al gruppo, parlava con i giocatori, sapeva quando e come intervenire. La sua leadership era spontanea, la nostra intesa era apprezzata, sapeva trasmettere ai più giovani i valori della Nazionale».

    Valori di cui tanto si parla: ma quali sono?

    «Luca credeva nella maglia azzurra, nell’importanza di quei colori: anche sdrammatizzando sapeva cogliere e, a sua volta, trasmettere il senso di appartenenza alla squadra. Ecco perché dico che era un capodelegazione atipico, ma fondamentale. Quando capiva che un giocatore aveva bisogno di motivazioni, trovava la parola giusta e il giocatore ne percepiva il carisma. Vialli era davvero carismatico».

     

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    Che amicizia era la vostra?

    «Forte perché è nata quando eravamo giovani, a 18 anni, in un ambiente e una squadra eccezionale, la Samp, guidata da un presidente fantastico come Paolo Mantovani: l’atmosfera di unione, di leggerezza, ci legava: Luca ed io eravamo sempre insieme, ci siamo divertiti».

     

    A far cosa?

    «Eravamo ragazzi esuberanti, condividevamo un’infinita passione per il calcio: il bello è che quando le nostre strade si sono divise, lui prima alla Juve e poi io alla Lazio, affetto e amicizia sono rimaste. Per sempre».

     

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    Quell’abbraccio all’Europeo che ha fatto il giro del mondo è la sintesi della vostra amicizia?

    «In quell’abbraccio c’è tutto: la gioia, i nostri sentimenti, il momento difficile che stava vivendo Luca, la sua lotta contro la malattia, la conquista dell’Europeo a Londra, casa sua: vincere lì per lui è stato importante».

     

    Lei ha visto Luca pochi giorni prima che morisse.

    «Ha sempre lottato ma negli ultimi giorni era un uomo stanco, sfinito, anche se nei momenti di lucidità reagiva, tornava ad essere lui, Luca, col suo sorriso. Ci siamo sempre voluti bene, mi mancherà, mancherà a tutti, ma sento che è vicino a noi, prego e spero che sia così, ne sono davvero convinto».

    Ha sperato fino all’ultimo che ce la facesse.

    «Ci abbiamo sperato tutti, non solo io, confidando che ci potesse essere una svolta. Poi, lui è stato forte…».

    In che senso?

    «Ha lottato, con coraggio. I medici curanti non erano certo felici dei suoi spostamenti, dei suoi blitz in Italia in nome dell’amicizia, ma lo faceva perché questi momenti conviviali, questa voglia di vederci e di stare insieme, gli davano gioia. Anche se gli causavano grande fatica. Luca è sempre stato un guerriero, certo che vederlo così sofferente è stata una prova durissima per tutti noi che gli abbiamo voluto bene».

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    Anche lei ha lavorato e vinto in Inghilterra, guidando il Manchester City allo scudetto, ma Vialli ha scelto di vivere a Londra: perché?

    «A Luca piaceva Londra, ha trovato la dimensione giusta, per lui, la famiglia, per le figlie. Là il calcio è vissuto in modo diverso che da noi, credo che quella città gli desse la tranquillità che desiderava».

     

    Perché i funerali in forma privata a Londra? Vialli incarna e rappresenta l’Italia meglio di chiunque altro.

    «Non lo so, non conosco la situazione».

     

    Ma è vero che voi due, alla Samp, i gemelli del gol, avete litigato nell’anno dello scudetto (‘90-’91)?

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    «Ma va, no... Non ricordo».

    Raccontano che avete bisticciato e c’è stato bisogno di alcuni mediatori per riportare la serenità tra voi: si sarebbe reso necessario l’intervento degli ambasciatori...

    «Massì è stata una tensione momentanea, nata non si sa nemmeno perché...».

    È vero che a lei piaceva più preparare il gol che farlo, si divertiva a lanciare Vialli in rete?

    «Luca era il nostro bomber, è giusto che fosse così».

     

    Alla tv Sport Mediaset ha fatto uno speciale («Ciao Gianluca») con un taglio originale: il sorriso di Vialli. Era così il suo amico Luca?

    «Sì, sì, era allegro e ti contagiava. Nonostante tutto, nonostante il dolore, la sofferenza, la malattia, la preoccupazione per i suoi cari, il ricordo che porterò per sempre con me è il suo sorriso».

     

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