Mattia Feltri per “la Stampa”
giorgia meloni
Giorgia Meloni, ha detto ieri Emma Bonino, porta avanti una politica con cui non ho niente a che vedere, ma non la chiamerei fascista, non mi piacciono gli insulti, non mi piacciono le campagne contro. Sarebbe stato difficile esprimere meglio un concetto così saggio. Se per l'ottantaseiesima volta a sinistra si conta di fermare la destra gridando alla restaurazione delle camicie nere, per scampare all'incomodo di formulare una proposta più articolata e più interessante, non ne scaturirà una gran campagna elettorale né una gran legislatura.
GIORGIA MELONI E IL CARTELLO ELEZIONI SUBITO
Meloni è molto di destra, ha nel suo partito ancora qualche nostalgico, ma non è fascista, non più di tanti altri: di fascismo, inteso come rigetto delle regole della liberaldemocrazia, se ne trova in tutti i partiti e, per esempio, col suo dittatore-comico (ormai malridotto), i suoi piccoli gerarchi, la legittimazione via plebiscito, e mille altre idee svalvolate, di fascismo se ne trova parecchio nei Cinque stelle.
Mi sembra notevole, per dire, che mentre sprezzano New York Times e Guardian, allarmati da «questa destra», i vertici di F.lli d'Italia - Meloni ma anche Ignazio La Russa e Fabio Rampelli - concedano interviste che sembrano ispirate dal generale Custer: sempre con la Nato, mai e poi mai con Putin. E non una sillaba contro Ue, Bce, mercati, qualche convinto elogio a Mario Draghi, come per gettare l'oblio su un decennio di opposizione da taverna. Di colpo, si cerca di piacere ai poteri forti. Se sia una conversione sincera o opportunistica, si vedrà. Per ora, che F.lli d'Italia si ponga il problema di non somigliare a F.lli d'Italia, mi sembra già una buona notizia.