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Marco Giusti per Dagospia
Se ne va anche Maximilian Schell, attore e regista di grandissima popolarità negli anni '50 e '60 che arrivò all'Oscar come protagonista maschile con "Vincitori e vinti" di Stanley Kramer nel 1961 battendo perfino il suo co-protagonista Spencer Tracy. Schell, che è morto a Innsbruck per una incurabile malattia a 83 anni, era nato a Vienna nel 1930, da padre austriaco, il commediografo Hermann Ferdinand Schell, e madre svizzera, l'attrice Noe von Nordberg, anche se con l'avvento del nazismo tutta la sua famiglia rifugiò in Svizzera negli anni della guerra.
Come i suoi fratelli, Immacolata, Carl e la più famosa Maria Schell, si dedicò prestissimo al teatro e alla recitazione, approdando da giovanissimo al cinema. Fu proprio grazie al successo della sorella Maria, che aveva interpretato per Luchino Visconti "Le notti bianche" e per Helmut Kautner "L'ultimo ponte", che Schell venne scritturato a Hollywood per "I giovani leoni".
Dmytryk avrebbe voluto la sorella nel film e finì per scegliere il più giovane Maximilian nel ruolo del capitano Hardenberg, amico di Marlon Brando, nell'insolita veste di tedesco, mentre Montgomery Clift e Dean Martin erano i giovani leoni americani. Per Schell fu il lancio nel grande cinema americano e internazionale, e ancor di più lo fu il ruolo di Hans Rolfe, l'avvocato difensore dei giudici nazisti a Norimberga, prima nella commedia televisiva di "Playhouse 90" nel 1959 e due anni dopo nel celebre film di Stanley Kramer, "Vincitori e vinti", che lo portò all'Oscar e al grande successo di pubblico. In realtà quei due ruoli nel cinema americano ne limitarono anche le possibilità di esprimersi in ruoli diversi, visto che venne molto spesso chiamato per ripetere parti di nazista o di tedesco in crisi nel dopoguerra.
Pensiamo solo a "I sequestrati d'Altona", 1962, la terribile versione cinematografica che un Vittorio De Sica non proprio adatto a questo tipo di film trasse dal testo di Jean-Paul Sartre e che vide Schell recitare assieme a Sophia Loren e a Fredric March. Dmytryk lo volle anche nel non riuscito "Cronache di un convento" con Lea Padovani, mentre Jules Dassin gli offrì un ruolo brillante accanto a una strepitosa Melina Mercouri nel geniale "Topkapi", 1964, che fu non solo un grandissimo successo di pubblico, ma aprì la strada a tutto un genere, quello delle rapine esotiche con toni da commedia.
Lo ritroviamo poi in "Dimensione della paura" di J. Lee Thompson con Ingrid Thulin, nello spionistico "Chiamata per il morto" che Sidney Lumet riprese dal romanzo di John le Carré a fianco di James Mason, nel curioso "Sinfonia di guerra" di Ralph Nelson dove affronta un Charlton Heston addirittura celebre direttore d'orchestra. Diventato una specie di prezzemolino del cinema internazionale, spesso fece film anche modesti per permettersi operazioni personali più interessanti.
Così, dopo il non così spettacolare "Krakatoa a est di Giava" di Bernard Kowalski o il dimenticato "Simon Bolivar" del nostro Alessandro Blasetti, riuscì a dirigere lui stesso dei film, colti e personali, come "Erste Liebe", 1970, tratto dal romanzo di Turgeniev "Primo amore" con John Moulder Brown e Dominique Sanda, o "Il pedone", 1973, che ottennero le nomination all'Oscar come miglior film straniero. Riuscì a interpretare una versione piuttosto interessante de "Il castello" di Franz Kafka con la regia di Rudolf Noelte.
Più tardi diresse anche dei notevoli documentari, come "Marlene", 1984, dedicato a Marlene Dietrich, dove intervistò la celebre star, o il più recente "Meine schwester Maria", 2002, dedicato all'adorata sorella Maria, che morì nel 2005. Alternò anche il teatro e la musica, visto che era un bravo pianista, alla carriera di attore, che lo vide sempre molto attivo, anche in ottimi film degli anni '70, come "La croce di ferro" di Sam Peckinpah, "Giulia" di Fred Zinnemann, e in grandi macchine spettacolari come "Dossier Odessa", "Quell'ultimo ponte", "Avalanche Express", "The Black Hole".
Lo troviamo anche in film alquanto stracult, come "Players" di Anthony Harvey, dedicato interamente al mondo del tennis, con tanto di Nastase e McEnroe, o l'italiano "Amo non amo" di Armenia Balducci con Jacqueline Bisset e Terence Stamp. Ma riuscì a dirigere anche un film di successo, "Assassinio sul ponte", con i suoi amici Jon Voight e Jacqueline Bisset protagonisti. Negli anni '80 e '90 finì molto spesso nel calderone delle grandi fiction europee, "Pietro il Grande", ma nei panni di Lenin vinse un Golden Globe nel 1992 nello "Stalin" diretto da Ivan Passer per la HBO.
Sul grande schermo, Andrew Bergman gli fece incontrare ancora una volta Marlon Brando in "Il boss e la matricola" e il giovane James Gray lo volle nel suo bellissimo "Little Odessa" nel 1994, mentre John Carpenter gli affidò il ruolo del cardinale Alba nel grandioso "Vampires" nel 1998. Nel 2006 recita all'Old Vic di Londra assieme a James Fox per la regia di Robert Altman "Resurrection Blues" di Arthur Miller, che non venne molto capito. Attivo fino alla fine, non si sa se abbia finito o no l'ultimo suo film, "Les brigandes" di Frank Hoffman e Pol Cruchten, dove risulterebbe protagonista.
Maximilian SchellMaximilian SchellMaximilian SchellMaximilian SchellMaximilian SchellMaximilian Schell
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