ore 14 quarto grado aldo grasso

“L’INVITO IN STUDIO DI PARTI IN CAUSA IN UN PROCESSO TRASCENDE IL DIRITTO DI CRONACA” – ALDO GRASSO SI SCAGLIA CONTRO I PROGRAMMI CHE SI OCCUPANO DI CRONACA NERA, MA RANDELLA ANCORA PIÙ FORTE LA RAI: “IL GIORNALISTA (O CHI PER LUI) DEVE ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ DI QUELLO CHE STA DICENDO O MOSTRANDO, MA NON È UN GIUDICE CHE IN UNO STUDIO TV RIFÀ IL PROCESSO SECONDO IL LINGUAGGIO E LE REGOLE DEL MEZZO. SUCCEDE PERSINO CHE LA RAI AFFIDI UNA SERIE DI CASI A SOGGETTI CHE SONO STATI COINVOLTI NEI PROCESSI DI CUI SI PARLA: UNA VERA ASSURDITÀ!”

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Estratto dell’articolo di Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

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milo infante ore 14

Stavo seguendo «Quarto grado», il programma di cronaca nera condotto da Gianluigi Nuzzi (Retequattro), quando si è accesa una piccola discussione sul delitto di Garlasco: in studio c’era il generale Luciano Garofano che è perito di parte. Trovo esecrabile che nella ricostruzione dei processi televisivi partecipino avvocati, consulenti, periti, criminologi o sedicenti tali, se sono di parte. La ragione l’ho espressa già mille volte: in questo modo si vuole condizionare il Tribunale. Retequattro è una rete commerciale, quindi sta allo stile del conduttore (lasciamo perdere parole roboanti come «coscienza» o «deontologia») fare le sue scelte.

luciano garofalo a quarto grado

 

Diverso è il discorso per la Rai, in quanto servizio pubblico. Perciò mi permetto di fare un appello all’ad Giampaolo Rossi e al dg Roberto Sergio, che immagino sensibili a questi temi, affinché nei programmi di cronaca nera non vengano istruiti dei contro-processi con le parti in causa, tipo «Ore 14» di Milo Infante o altri programmi del genere. Giornalisti, giornaliste, conduttori e conduttrici hanno tutto il diritto di indagare, di ricostruire i casi, persino di contestare le sentenze, di intervistare le parti in causa ma l’invito in studio è qualcosa che trascende il diritto di cronaca.

 

aldo grasso

 Il giornalista (o chi per lui) deve assumersi la responsabilità di quello che sta dicendo o mostrando, ma non è un giudice che in uno studio televisivo rifà il processo secondo il linguaggio e le regole del mezzo. Succede persino che la Rai affidi una serie di casi a soggetti che sono stati coinvolti nei processi di cui si parla: una vera assurdità!

 

Se vogliamo ancora dare un senso all’espressione «servizio pubblico» bisognerebbe cominciare a segnare una linea editoriale, a porsi alcuni problemi non solo nello spirito di un network televisivo ma anche di un’istituzione che è vincolata da un «contratto di servizio». Altrimenti è inutile pagare il canone e invocare «critiche costruttive».

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