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DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Antonio Dipollina per Il Venerdì - la Repubblica
Era talmente "il più grande" che l' espressione, a sentirla riferita ad altri, rimanda comunque a lui. Era Cassius Clay di nascita e Muhammad Ali di crescita dopo il cambiamento epocale interno. E infatti siamo a Da Clay ad Ali. La metamorfosi. Lo ha scritto e diretto Emanuela Audisio e lo si vedrà su Sky Arte - che lo ha prodotto con Repubblica - martedì 17 gennaio alle 21.15.
Tenendo come snodo centrale tutta quella che fu, appunto, la metamorfosi, metà anni Sessanta, la conversione all' Islam del personaggio più clamoroso del pianeta, con tutto quello che ne derivò, sfila tra immagini e testimonianze una Storia che merita la maiuscola, anche per come andò a finire, anche per tutto quello che non finì bene, ed è moltissimo.
Ne parlano esperti e compagni d' epoca, vedi il fotografo e regista William Klein - mentre passano spezzoni incredibili di quelli che oggi chiameremmo backstage prima dei match importanti - ci sono Nino Benvenuti e Furio Colombo, ma anche Oliviero Toscani e Franco Nero oltre a Gianni Minà, ma anche scrittori come Thomas Hauser o gente d' arte geniale come Julian Schnabel, c' è la voce narrante di Lella Costa. Tutto per Ali e per fissare dentro una cornice epocale quello che la metamorfosi di cui sopra significò per lui, il ragazzo di Louisville, e per il mondo che gli impazzì appresso.
Se il pianeta della musica, del rock e del pop, hanno archiviato il 2016 come anno-catastrofe per la scomparsa di mille miti, che dire allora del pugilato, dello sport, forse dell' intera questione umana, sociale e razziale del '900 che il 3 giugno ha visto andarsene un simbolo totale come Ali? Il doc di Audisio si fa carico anche e soprattutto di questo, sapendo che quel tipo di grandezza, quella traccia storica imponente concentrata in un uomo solo non ha eguali nella storia moderna dei simboli e dei miti amati dalla gente (nonché temuti, odiati, da stare in soggezione per anni, da entusiasmarsi per sempre).
Le immagini di un' era già affidata ai mezzi di comunicazione di massa ci restituiscono pressoché tutto, anzi parecchio, e molto lascia il segno. Il fascino clamoroso di quel bianco e nero, le arene fumose e le mondovisioni fanno il resto. I primi match per il titolo e le smargiassate appresso, Ali era spaventosamente simpatico o era il più odioso di tutti: il mondo adorava chiederselo e lui lo sapeva.
Due conti con le date, Ali che corricchia verso il tripode di Atlanta per accendere la fiamma, il tremore offerto al mondo. Erano vent' anni fa, da non credersi: tra gli esperti e studiosi che sfilano nel documentario di Sky Arte c' è chi ricorda lo stupore ostinato e contrario di chi comunque non apprezzò quella scelta, vedendo il Grande Ribelle di un' epoca consegnarsi mani e piedi a un sentimento come la compassione che mai aveva cercato, che era l' esatto opposto di tutte le sue ore precedenti.
Grande storia, anche per cose simili.
La malattia lo accompagnerà ancora a lungo (Gianni Minà ne rievoca passaggi tenerissimi) e gli farà perdere, ovvero evitare uno snodo cruciale: ed è quello dell' 11 Settembre, la questione islamica cambia totalmente nella percezione del mondo, l' ex ragazzone bellissimo del Kentucky sarebbe in teoria il musulmano più famoso del pianeta ma lui era ormai annidato nelle spire della malattia, scomparso dalla scena, né testimone né altro: è diventata un' altra storia ed è, ora sì, il nuovo millennio, ed è davvero terribile.
Chiamarsi Ali, prima, spostava il pensiero di chiunque sul ragazzo Cassius convertito e sulle sue mille contraddizioni future, ora diventa una cosa che se ti chiami così - e lo dice Ali Toscani, figlia di Oliviero, sodale del pugile in una fase felice - ti bloccano negli aeroporti e ci vogliono ore.
Ci sono molti passaggi che il ring lo lasciano sullo sfondo (a volte bastano i numeri impietosi, i primi match con 100 pugni dati e 3 ricevuti fino agli ultimi, dove finisce 400 a 300 e anche se hai vinto ti sei disfatto verso la vita futura: con Larry Holmes, allievo prediletto, costretto a picchiare duro e a piangere dopo per il rimorso, in conferenza stampa congiunta, Holmes che elenca tutto quello che Ali aveva fatto per lui, tutto quello che gli aveva insegnato, la vita, l' onore, la stima di se stessi e piange e di fianco a lui il mito, due occhialoni neri giganteschi a coprire tutto. Se li toglie per un attimo e dice: e allora perché mi hai massacrato? Risero tutti, ma c' era dentro anche l' esatto contrario di una storia allegra.
Ali mito e feticcio del mondo pop che andava a dilagare, Andy Warhol e Basquiat che stravedono per lui, e Julian Schnabel, discreto pugilino in gioventù, che oggi rievoca le parti più succose di quei passaggi. O appunto lo stesso Oliviero Toscani («Capivi che stava arrivando una montagna di carisma da trenta metri di distanza») e anche Franco Nero, ebbene sì, passaggi di vita in comune, che oggi davanti alla telecamera si fa trascinare dalla commozione rievocando Clay che prende in braccio il piccolo Nero jr, figlio dell' attore, e lo entusiasma con giochini di prestigio da scatola di cartoleria. E ancora e ancora.
Per non dire di tutto quello che passa - mentre vanno le musiche di Remo Anzovino e Roy Paci - alla voce "lui per primo".
Con un minimo di disincanto, Audisio lo rievoca come il primo personaggio mondiale a intravedere un' era social, a capire dove sarebbe andata a parare la forma del consenso (o era solo istinto, chissà): si creò un popolo di seguaci, una rete di entusiasti sempre in contatto, sapeva cosa far fare ai fotografi perché venisse fuori l' immagine giusta per cementare il network che nessuno allora avrebbe chiamato così:
il bianco e nero di certe apparizioni tv negli spettacoli da decine di milioni di telespettatori ci consegna esibizioni da showman puro, e probabilmente fu il primo che nelle sue tirate ai microfoni prima del match, nelle quali minacciava da fanfarone l' avversario, componeva mitragliate sonore che somigliavano assai a una cosa rap quando il rap era molto al di là da venire.
Questo per divertirsi.
Mentre l' epopea del ribelle social-politico-religioso, della guerra rifiutata, della condanna e dei titoli ritirati, del faticoso ritorno e degli anni migliori perduti per una causa, con tutte le interpretazioni in un senso o nell' altro, ci viene restituita passo passo: il primo nero che impose davvero se stesso in quanto tale («Mai ci sarebbe stato Obama senza di lui») raccogliendo e portando all' estremo l' eredità di tipi come Joe Louis che vinse il Mondiale e per la prima volta alla tv Usa chiamarono sempre e solo "americano" un tipo di colore.
E comunque non ce n' era: potevi essere il Presidente, per gli americani, ma quello che era il Campione mondiale dei pesi massimi gli stava alla pari nella considerazione, e se eri nero e avevi quella testa e quei modi, alla fine la cambiavi, l' America. Il Papa dello sport, si disse e si rievoca qui, per certi versi anche qualcosa in più, con la miriade di segnali contraddittori mandati al mondo dentro una storia vitale, sempre e comunque, con un lunghissimo finale nascosto che poteva e doveva essere migliore.
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