DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Maurizio Crosetti per "la Repubblica"
Gli occhi di Francesco ci sono ancora, così stropicciati e soli. Occhi a fessura dentro un reticolo di rughe. Occhi birbanti. Ora Francesco Nuti ne strizza uno, sollevando le lenti scure dei Ray-Ban. Poi accende lo strumento che si chiama "comunicatore", pigia un bottone con la mano sinistra perché la destra è paralizzata, e comincia a picchiare sui tasti col dito indice. Le lettere compaiono una a una, lievi come farfalle, tenaci come zanzare. «Io». Spazio, pausa, un altro spazio. «Sono». Spazio. «Qui».
Francesco è vivo, attentissimo. La parola è ancora una conquista lontana, cinque anni dopo la caduta dalle scale, i tre mesi di coma, i due anni e mezzo d´ospedale, i quasi quattro anni a letto. La sua voce è un sintetizzatore collegato alla tastiera. Le frasi diventano suoni pronunciati in un impeccabile accento da accademia d´arte drammatica, però non è quello di Francesco.
«Oh bisognerà che lo facciamo parlare in toscano!», dice Giovanni Nuti, il fratello, medico e musicista di alcuni suoi film. Lo ha aiutato a scrivere il libro che uscirà il 28 settembre per Rizzoli (212 pagine, 17 euro), Sono un bravo ragazzo, dove il sottotitolo spiega tutto: Andata, caduta e ritorno.
Francesco, perché hai scritto la tua storia? Il dito scivola sui tasti e sul bisogno di essere vivi. «Perché sì». E la risata è un lampo improvviso, un fuoco d´artificio nella bocca che un po´ sbava, e allora la mano raccoglie un fazzoletto di carta per asciugare il viso. Il corpo è fragile, però la volontà non gli concede tregua, sette ore al giorno nel centro riabilitativo a Prato. «Lavoro», spazio, «lavoro».
Francesco scrive i nomi delle persone che lo stanno aiutando a uscire dal ventre della balena. «Daniela». à la fisioterapista. «Laura». Lei invece è la logopedista. Il libro si apre con una frase del vangelo di Luca: "Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona". Perché qui, ragazzi, qui non si scherza soltanto. Qui, strizzando l´occhio, si combatte con la morte.
La casa di Francesco non è una villa hollywoodiana, ha muri esterni rosa salmone, nel piccolo giardino dei vicini c´è un melograno. Siamo a Narnali, sobborgo di Prato, dove tutto cominciò. Francesco Nuti è seduto al sole su una seggiola di legno, l´ultimo sole di settembre, l´aria è già frizzante come d´autunno. Scolaretti cinesi trascinano zaini enormi. Da qualche parte, qui vicino, qualcuno sta picchiando con un martello.
La mano sinistra di Francesco è un po´ fredda, quando prende la tua e la stringe. Se dici una cosa che gli piace, tipo «nel libro ci sei proprio tu, come ti ricordavamo nei film», lui fa «ok» con le dita, oppure alza il pollice. E le pupille s´accendono dietro lo schermo scuro delle lenti, dentro il mistero dei pensieri.
«Volevo raccontare». Francesco ha tolto la funzione vocale del sintetizzatore, è meglio leggere soltanto quello che lui scrive. Serve tempo, tutto ruota attorno al tempo. «La botta mi ha salvato». Il successo, le donne, gli amori, i soldi, le auto sportive, le critiche acide, i primi fallimenti, i produttori che voltano le spalle, la depressione, l´alcol, la solitudine. E poi? «Una notte sono caduto dalle scale e mi sono addormentato». Quasi morto, e invece no. «Stavo meglio prima». Un´altra risata, forte, un po´ gutturale, come di tosse allegra. «Ma adesso», pausa, «adesso sono sereno».
Chi ha avuto la sventura di vedere Francesco Nuti in quel collegamento televisivo con Barbara D´Urso, qualche mese fa, dimentichi la scena patetica, il primissimo piano che fu pura violenza. Dimentichi le lacrime e l´affanno, perché Francesco non è così. Oggi è un uomo che fa a pugni con la malattia, convinto di stenderla.
Anzi, ci gioca a biliardo, come nel più famoso dei suoi film. «Vado alla Casa del popolo tutti i giorni». Questa è una frase bella lunga, nel visore si va a capo. Francesco alza la mano, mima un´invisibile boccetta, fa il gesto di chi la sta tirando su un panno verde come un prato dopo la pioggia. «Gioco ancora». Ed è così, tutti i pomeriggi con gli amici di sempre. Altri nomi da sillabare con i polpastrelli. «Alessandro». «Mauro». «Andrea». Ragazzacci di Narnali come lui, c´è da giurarlo.
Il fratello Giovanni spiega che Cecco è davvero migliorato molto, e ora il suo sogno è tornare a lavorare. Francesco lo interrompe, alza la mano come si fa a scuola quando si vuole intervenire, riprende a scrivere. Tic, toc, titòc, è bello il rumore delle parole quando nascono. «Da due mesi non penso ad altro», però "altro" gli è venuto male, Cecco in realtà ha scritto "atrrl": rimette la funzione vocale, la macchina fa una specie di pernacchia e Francesco se la ride, compiaciuto dello scherzo. I bambini non smetterebbero mai di giocare. Eppure il sogno non è folle.
Esistono due sceneggiature quasi pronte, Olga e i fratellastri Billi e Solo quando avrò cullato un bambino, per la prima è già avviata una trattativa con una casa di produzione. «La storia più bella è ancora chiusa in un cassetto», scrive lentamente, implacabilmente Cecco, assai più forte del suo corpo dispettoso. Si tratta di un soggetto originale, I casellanti: il racconto di due fratelli che s´innamorano della stessa donna, in un casello ferroviario da far rinascere in memoria del nonno. Riecco i temi forti del cinema di Nuti: l´amore, la malinconia, lo spaesamento, l´amicizia.
Ma tu, Cecco, puoi ancora dirigere un film? «Sicuro». Stavolta è una frase senza errori, senza incertezze. Di più: «Io posso recitare». E se gli dici che in fondo la sua cifra stilistica è sempre stata il silenzio, non solo l´ironia, e che le scene migliori le ha recitate stropicciando quello sguardo da cane abbandonato, allora Francesco Nuti solleva di nuovo i Ray-Ban per strizzare l´occhio. «Perfetto», scrive sulla sua macchinetta.
E poi sta per succedere un´altra cosa bella. Il 2 ottobre sarà inaugurata la mostra dei suoi quadri, grande passione a lungo segreta. Trenta opere esposte all´opificio Malkovich di Prato, spazio polivalente. Il soggetto è uno solo: Pinocchio. Ce n´è uno giallo anche qui, appeso al muro. «Pinocchio è come me». Una seconda frase precisa meglio: «Non come me». Spazio. «Io sono Pinocchio», e la mano si avvicina al naso nel gesto di allungarlo. Cecco sorride, poi passa le dita sul titolo del manoscritto appoggiato al tavolo: Sono un bravo ragazzo. Pausa. «Io sono un attore drammatico che sorride».
La mostra, un concerto con le sue canzoni (è anche uscito un cd antologico, Le note di Cecco), forse un dibattito con Maurizio Ponzi, il regista dei primi successi, insieme alla proiezione del documentario di Mario Canale, Francesco Nuti e vengo da lontano. Un sacco di cose. Ma il cinema, Francesco, ti vuole ancora? Si ricorda di te? «Qui viene Giovanni, e ogni tanto i ragazzi». Giovanni sarebbe il regista Giovanni Veronesi, uno dei pochissimi a non avere mai abbandonato Francesco negli anni dentro la balena, e i ragazzi sono quelli della vecchia troupe: i tecnici di Roma, il costumista, il truccatore.
Ogni tanto arrivano, parlano un po´ con Cecco, scherzano, ripartono. Lui gli ripete di tenersi pronti per il prossimo film. E le donne, Francesco? Le star dentro lo schermo e nella tua vita? «La più bella è Ginevra», cioè la sua bambina. à l´unico momento di commozione del nostro incontro, la piccola donna che viene a trovare il papà , separato dalla mamma, una volta al mese. Anche questa, però, non è pena. Questa cosa si chiama amore.
«Io ci sono». Oggi Francesco Nuti ha cinquantasei anni, una camicia blu notte, non più i riccioli sbarazzini ma capelli quasi lisci e un po´ ingrigiti. Tra le pieghe della sua storia resta nitido il personaggio notturno, poetico, un po´ stralunato dentro una solitudine sognante. à grande il bisogno di raccontarsi. «Non sono ancora forte come vorrei». Pausa. «Sono molto migliorato». «Il mio futuro è giovane». Pausa più lunga, Cecco ha sete: si brinda con l´acqua naturale. «Devo riposarmi dopo cento passi». Come sarebbe a dire, cento passi? La mano sinistra picchia sui tasti: «Ti mostro».
Francesco Nuti si appoggia al tavolo, il fratello Giovanni e la cognata lo aiutano, con il braccio sano si puntella e poi comincia a camminare. Lo fa spesso, in casa, col bastone, e adesso anche senza. La fragilità e la forza. Un giro attorno al tavolo, un secondo, il fiato è un po´ corto, «vuoi riposare?» gli domandano e la risposta è il terzo giro. Una passeggiata dal buio, fino a dove sarà .
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