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1. «VIVO BRACCATO PER I DEBITI, SONO SFINITO NON POTEVO METTERE IN PERICOLO FIORELLO»
Maria Volpe per il “Corriere della Sera”
Baldini, perché ha lasciato «Fuoriprogramma», su Radiouno con Fiorello?
«Non avevo scelta».
Sicuro, non aveva scelta?
«Sicuro. Non devo e non posso andare a fare il programma. Non sono in grado di sostenere un ruolo impegnativo, ma soprattutto metterei a rischio le persone».
Qualcuno di pericoloso la cerca? Potrebbe fare del male a lei e a chi le sta vicino?
«Non sono banditi, sono persone esasperate che rivogliono i loro soldi. Ricevo 150 telefonate al giorno, mi citofonano, mi stanno addosso. Non posso più lavorare».
Ma perché non può continuare a lavorare con Fiorello?
«Perché potrebbero arrivare lì e fare una piazzata tremenda. “Fuoriprogramma” non si registra in uno studio, ma in un bar in mezzo alla strada. Troppo pericoloso».
Fiorello che le ha detto?
«Che gli dispiace, che non dovevo mollare perché finché non ho continuità sul lavoro non ne esco. Ed è vero».
Quindi?
«Quindi non ne esco».
Marco Baldini risponde al telefono con voce bassa. È lucido, non si fa sconti. Sta vivendo una situazione drammatica. Ha molti vecchi debiti di gioco e non ha i soldi per pagarli. Davanti a sé ha il baratro, ma è rassegnato. Dorme nella stanza di un amico. Lavora due ore al giorno. Poi, vive braccato.
Non c’è via d’uscita?
«No, non c’è. È un cane che si morde la coda. Dovrei lavorare tantissimo per poter pagare i debiti, ma non sono in condizioni di poter lavorare».
Lei ha giurato che non gioca più dalla fine del 2008.
«È vero, lo confermo, anche se persone cattive sostengono il contrario».
cnd08 marco baldini rosario fiorello
Perché allora ha ancora tutti questi debiti?
«Nel 2011 ho perso il lavoro. Per due anni sono stato fermo perché Fiorello era fermo. E lì i debiti sono aumentati perché non avevo entrate. Ora non riesco più a far fronte a tutto».
Ci sarà un modo per risolvere la situazione
«Se qualcuno me lo indica... Ci vorrebbe solo che qualcuno si fidasse di me, pagasse i miei debiti e investisse su di me per progetti lavorativi futuri»
E non c’è nessuno?
«Nessuno ha nè voglia, nè coraggio. E non lo biasimo. Chi vorrebbe darmi una mano non ha i soldi, chi ha i soldi non mi dà una mano».
Ma quant’è il suo debito?
«Non posso dirlo per rispetto verso chi guadagna 1000 euro al mese».
Questo le fa onore.
«Beh, nella mia disgrazia mi considero più fortunato di chi è stato licenziato e ha tre figli da mantenere».
Lei fa anche un programma su RadioRadio, una emittente romana, vero?
«Sì, lì sono solo, in un ambiente protetto, ma non guadagno moltissimo. E comunque prima o poi verranno a cercarmi anche lì. Finora hanno minacciato di venire da Fiorello, ma verranno ovunque».
Queste persone proprio non molleranno?
«No, alcuni sono ex amici, impazziti di rabbia, hanno bisogno di quei soldi. Sono disperati, piangono, urlano, non si rassegnano. I creditori non mi danno tregua. La mia vita è un inferno».
Che vita è?
fiorello selfie con cruciani pardo baldini
«Quella di un uomo sfinito»
Ha paura?
«Con la paura ci si abitua a vivere. Io sono solo sfinito. Quando mi sveglio alle sei cominciano le telefonate, le urla. E so che sarà così fino alla notte. Prima o poi dovrò smettere di lavorare completamente anche perché non ce la faccio più con la testa. Ho 55 anni, il mio fisico non regge. Mi verrà un infarto».
Chi c’è vicino a lei ?
«Qualche amico e la mia ex moglie: mi sono separato per non rovinarle la vita».
Si aspettava aiuto da qualcuno che non gliel’ha dato?
«Tanti amici mi hanno voltato le spalle. Tanti che in tempi belli, mangiavano e bevevano con me».
Neppure un progetto?
BARBARA D URSO CON FIORELLO E BALDINI
«Artisticamente ne ho tanti, ma li troveranno tutti nella scatola nera quando smonteranno il mio corpo. Per il resto non faccio progetti oltre l’ora».
Quante bugie ha detto?
«Quando son disperato dico: “Prossima settimana ti ridò i soldi” anche se so che non è vero. Lo faccio per respirare».
Ha bussato proprio a tutte le porte possibili? Ha proposto programmi in radio e tv?
«Altroché, ma tutti mi dicono “Non è il momento”».
Ha un rimpianto?
«Sì. Era l’aprile del 1991. Avevo 40 milioni (di lire) di debito. Valerio, un amico di Cecchetto, me li ha prestati. Metà li ho usati per i debiti, metà li ho giocati. Da lì è nata tutta la tragedia. Quella è la pallina di neve che è diventata valanga. L’errore più grande della mia vita».
2. GIOCO E ROVINA, QUEL MALE CHE ISPIRÒ DOSTOEVSKIJ
Paolo Di Stefano per il “Corriere della Sera”
La discesa negli inferi dell’azzardo è un classico della letteratura. Le opere di Puskin e Schnitzler Non si contano gli archetipi letterari cui è riconducibile la vicenda triste di Marco Baldini, che a causa del gioco ha contratto debiti pressoché insostenibili stravolgendo la vita sua e della propria famiglia, per di più catapultato nel tunnel del senso di colpa.
In un’ideale classifica del gioco patologico in letteratura, il primo che viene in mente è Fëdor Dostoevskij, il cui romanzo Il giocatore (1866) è la più icastica rappresentazione dell’irresistibile discesa nella propria rovina provocata dalla roulette: è il giovane precettore Aleksej Ivanovic a sfidare il destino per amore, prima con alterne fortune poi via via precipitando nel gorgo senza redenzione e senza senso, sempre illudendosi che «Domani, domani tutto finirà».
Ma non solo lui. Dostoevskij mette in scena un intreccio di incalliti «ludopati», in una sorta di malattia sociale che travolge nobili, nuovi ricchi e poveri, che hanno rinunciato a ogni scopo che non sia vincere vincere vincere, attaccati come sono al «rouge» o al «noir» di Sua Crudeltà il Caso.
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È l’Ottocento il secolo in cui l’azzardo viene identificato con il Male, rivelando la faccia oscura e ipocrita del perbenismo dell’alta società, tant’è vero che non di rado esso nasce dal suo rovescio speculare, e cioè da nobili propositi morali. La tentazione incoercibile di forzare il destino è pervasiva, un virus da cui non si guarisce.
Il contagio da prossimità è quasi inevitabile, come ne La donna di picche di Aleksandr Puskin, dove il gioco viene declinato nella sua variante più pericolosa, e cioè l’astuzia (presunta): quella di cui si crede dotato Germann, che, rimasto imperturbabile spettatore del furore ludopatico degli altri, decide a un certo punto di scoprire il segreto delle tre carte vincenti a costo di degradarsi, prima cercando di concupire una fanciulla, poi entrando in casa di una vecchia contessa (anche lei ludopatica incallita) e procurandone la morte.
Un interprete magistrale dell’autodistruttività da tentazione ludica nata con le migliori intenzioni è Arthur Schnitzler: in Gioco all’alba (1927) il tenente Willi Kasda, votato a una vita spensierata, si siede al tavolo per pura generosità, vorrebbe vincere un gruzzoletto a beneficio di un amico, ma via via che la notte avanza fino all’alba il destino finisce per presentargli un conto terribile, capovolgendo la sua leggerezza fantasticante in cupa allucinazione: Kasda contrae un debito mostruoso e ha solo ventiquattro ore per saldarlo, com’è previsto nelle regole della Vienna imperiale; la corsa contro il tempo, che coinvolge anche una possibile salvatrice, gli sarà fatale. E il rimbalzo della storia si rivelerà più beffardo del previsto.
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Tra il «rouge» e il «noir», quando narrano il gioco, gli scrittori prediligono sempre il «noir». La patologia ludica, in letteratura esattamente come nella realtà, non solo sbalestra gli equilibri psichici individuali, ma complica le amicizie e sfigura i rapporti amorosi. Ne sa qualcosa, purtroppo, il nostro Baldini.
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Ne sapeva qualcosa anche Stefan Zweig, che in un racconto perfetto come Ventiquattr’ore nella vita di una donna (sempre nell’anno di grazia 1927), narrò la ludopatia di un giovane russo rivissuta dalla parte di lei, ormai anziana, che in anni lontani l’aveva amato fino a sacrificare il proprio patrimonio pur di allontanarlo dal casinò di Montecarlo e dalla sua insana passione. Invano.
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