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Pietrangelo Buttafuoco per la rivista "Arte"
Non sapeva disegnare. «A scuola prendevo 1, il mio voto nei compiti in classe era quello». E com'è possibile? I quadri di Franco Battiato hanno, infatti, una luce viva. «Avevo», racconta mentre - nella sala da pranzo di casa sua, a Milo - mi mostra una delle sue prime tele, «come un blocco dentro di me, un qualcosa che m'impediva di procedere alla regolare esecuzione del cerchio, del quadrato e della linea retta. Ero negato».
I quadri, allora. Sono inconfondibili. E sono senza trucchi. La loro doratura poi, così benevola da accendersi e accendere, è forse derivata dall'insegnamento di Pavel Florenskij? «No», risponde Battiato indicando quella che per lui è stata "strada maestra", «più che l'Estremo Oriente, il Medio Oriente. Il mio riferimento nella pittura è il Monte Athos, non la Russia».
Non sapeva disegnare, Battiato - musicista, pittore dal 1989 - e oggi, meravigliando tutti con le sue tele così sorprendenti, ne sorride: «Solo una volta ho preso 3. Un mio compagno che aveva l'oro nelle mani, tanto era bravo, un giorno volle da me gli accordi di una canzone di Neil Sedaka. Io, in cambio, gli chiesi un disegno. Me lo fece in un istante. Ovviamente non potevo consegnarlo al professore così com'era, e mi provai a metterci mano. Lo peggiorai per renderlo plausibile col mio livello e lo sporcai a tal punto che ebbi 3 sul registro. Fu il punto più alto in educazione artistica».
Più che la Russia, dunque, il Monte Athos. Sulla viva brace del Monte Etna, in questo caso. Jonia me genuit, allora, per dirla con il titolo della sua mostra antologica appena conclusa allo Spazio per le Arti contemporanee del Broletto, a Pavia: «Più di mille persone all'inaugurazione», ricorda Battiato, «ed è un numero proprio singolare per una mostra di quadri...».
Lo seguo e accarezzo il suo pianoforte a coda, una presenza elegante e composta; lo seguo ancora e - più avanti, in un'ampia saletta - avverto la vibrante presenza di un coro. Tra il Battiato che suona e il Battiato che dipinge c'è un Battiato che, nutrendo entrambi, scandaglia il segreto intimo di una scienza remota, quella del cuore. Alle pareti ci sono le icone di santi, tutte disposte nel sentimento di luce sacra; lo seguo e gli chiedo di Dio: «E' un cammino fatto di secoli e secoli, la meta è lontana, e questo Papa, che mi è simpatico, sbaglia a umanizzare Dio».
C'è anche il Battiato dell'ironia: «Ricordo un viaggio. Mi ritrovo a fare uno scalo in un aeroporto in Russia. Ero in compagnia di altri amici quando ci accorgiamo di una gran concitazione, e Renzo Arbore, tra noi il più curioso, s'informa e ci ragguaglia: "Hanno beccato dei napoletani, trafficavano con le icone". "Ma come", gli dico, "non lo sanno che è proibito portarsi via le icone?". "Ma che hai capito", mi spiega Arbore, sornione, "li hanno fermati perché tentavano di portare in Russia le icone fabbricate a Napoli"».
Battiato, prodigo di buonumore, osserva me mentre osservo quel suo primo quadro, il ritratto di un uomo. E' un volto che sembra sbalzare dalla doratura. Ne studio lo sguardo e Battiato mi prende in giro: «Ecco, lo vedi, gli chiuderei gli occhi. A volte ho la tentazione di rimetterci mano...».
Non sapeva tenere un pennello in mano o una matita.
«Dopo un concerto alla Fenice, Spencer Hodge, un pittore inglese che aveva saputo della mia passione per la pittura, mi fa giusto questa domanda: "Sai fare le nuvole?". Gli rispondo: "Più che nuvole, sono patate quelle che mi vengono sul foglio". Io non ho avuto maestri. Ho fatto tutto da solo. Ho cominciato in un periodo di felice ozio greco, quando, tra letture e musica classica, decido di prendere il pennello e così rimuovere quel qualcosa che mi blocca, quasi una ferita da rimarginare. Tecnicamente nessuno può essere stonato. E così è per la pittura. Hodge m'invita dunque a realizzare insieme un quadro. "Da dove arriva la luce?". Ecco, dall'alto. "Prendi i colori, un'ocra, il bianco, terra bruciata...". Eseguo. "Prendi il pennello con la sinistra". Io sono nato mancino, è una gioia usare la sinistra. Da piccolo mi legavano il braccio per costringermi a usare la destra. "Con una sciarpa di seta, però!", diceva mia madre...».
Hodge, dunque, l'unico maestro. «Inizio col pennello, attingo dai tre mucchietti di colore ma il risultato è uno scarabocchio. Sono scarpe bagnate sul parquet, altro che nuvole. Mi ritraggo da quella visione e dico a Spencer "guarda che io detesto l'arte contemporanea". Lui sorride. "Ecco", prende una pennellessa e me la da. "Adesso lega il tutto con un movimento tipo simbolo dell'infinito... sinistra e destra, dritto e rovescio". Il risultato è bellissimo. Adesso il quadro ce l'ha mio compare a casa sua, abita qua vicino».
Nessuno mai indovina il colore dei girasoli, Battiato ne ha fatto uno - da lui offerto al modo di logo all'associazione "Penelope" - che così gentile non s'è mai visto. «Davanti alla tela io mi sento sempre un cane. Non è come con la musica. Potrei lavorare su un accordo una settimana intera ma coi segni e coi colori avverto ancora la fatica. Il mio primo orgasmo da pittore, allegorico va da sé, lo provai quando realizzai il mio primo Derviscio con tre movimenti».
Il Derviscio, così come Gilgamesh, già utilizzato come copertina dell'album, è specifico della poetica di Battiato. Me lo mostra e ripete con i gesti l'esecuzione. «Fu un veloce disporre di luce e forma». E tutto, tutto quel che si risolve in un vortice, è lì nel becco del Condor, un altro suo quadro. «Ecco», me lo mostra, con quello anche la Teiera, e poi ancora Dervishes, il ritratto di Manlio Sgalambro, quello dell'Omeopata e, subito dopo, uno scherzo: «Doveva essere un uovo. Marella Ferrera, la stilista, mi aveva invitato a ornare un uovo pasquale, e io le ho offerto questo».
Eccolo, è lo Struzzo. Lo studio. E' un primissimo piano e il beccuto, colto come in un riquadro di ricognizione ravvicinata, si lascia godere di un contorno che non è impressionismo o virtuosismo ma il Battiato puro: un sentire superiore alla necessità stessa dell'espressione pittorica. Quello di Franco Battiato con la pittura è un incontro. Incontri con uomini straordinari è un libro di Georges Gurdjieff. Ci s'intende su questo. L'incontro con la persona straordinaria è in quel ritratto, è nella camera del Maestro: è Fleur Jaeggy, è tutta luce.
TIGRE DI FRANCO BATTIATO TEIERA CON BECCO LUNGO DI FRANCO BATTIATO MEDIORIENTE DI FRANCO BATTIATO FLEUR JAEGGY DI FRANCO BATTIATO DERVISCIO CON ROSA DI FRANCO BATTIATO DERVISCI IN PREGHIERA DI FRANCO BATTIATO DALLA RIVISTA ARTE
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