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BENIGNI NON C'È PIÙ - MOLENDINI: ''E' SUCCESSO QUALCOSA AL SUO TALENTO, COME SE LA CARICA INIZIALE FOSSE SVANITA. COLPA FORSE DEGLI OSCAR, DEL SUCCESSO COSMICO CHE TI FA DESIDERARE DI RAGGIUNGERE IL CONSENSO GENERALE. UN PO' COME FIORELLO CHE SI IMPERMALOSISCE PER LA BATTUTA DI TIZIANO FERRO - MIRA IN ALTO PER INNALZARE SE STESSO. L’INNO DI MAMELI, LA COSTITUZIONE, DANTE. ORA IL CANTICO DEI CANTICI. IL TUTTO CONDITO DALL’IPERBOLE RIPETUTA, DALLO STUPORE A TAVOLINO. RICORDO CHE CERAMI MI PARLAVA DI LUI E…''

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Marco Molendini per Dagospia

 

roberto benigni

Benigni non c'è più, il guitto formidabile di Televacca, di Berlinguer ti voglio bene, dell'Altra domenica, del Sanremo del Wojtylaccio, dell'Inno del corpo sciolto, l'incursore televisivo, il monello impertinente con gli occhi furbi di chi è pronto a menar fendenti. Benigni non ha più voglia di ridere, si è stancato cerca l'esaltazione, il monumento, punta ai territori inattaccabili, mira in alto per innalzare se stesso. L’inno di Mameli, la Costituzione, Dante, ora Il Cantico dei cantici. Il tutto condito dall’iperbole ripetuta, dalla meraviglia, dallo stupore a tavolino, dagli aggettivi roboanti senza sfumature.

 

 Si è infilato nella retorica e non vuole più uscirne, ci nuota, ci galleggia, rischia però di affondare nella noia del consueto. Peccato, si è intristito. Una volta declamava con fare beffardo i mille nomi con cui viene chiamato il sesso femminile («la cosa, la passera, la chitarrina, la farfallina, la fisarmonica, la gattina, la filettina, la topa, la toppa, la gnocca, la pucchiacca, la sorca, la picchia, la passerina, la patonza, la gnacchera, la cavità, la ferita, la natura, la vergogna, lo spacco, l'antro tetro, la marianna la va in campagna, la bernarda, la tacchina, l'anonima sequestri, l'effetto serra, il conto in banca, l'afflosciapertiche, la seccacetrioli, l'azzitapreti, la fammela vedere un'altra volta.»).

roberto benigni arriva a sanremo

 

E' successo qualcosa al suo talento, come se la carica iniziale fosse svanita. Colpa forse degli Oscar, della Vita è bella, del successo cosmico che ti fa desiderare di raggiungere il consenso generale, senza se e senza ma (un po' come Fiorello che si impermalosisce per la battuta di Tiziano Ferro). Per questo sceglie gli argomenti inattaccabili, sacri. Ricordo le tante chiacchierate con l'amico Vincenzo Cerami sul talento di Roberto che considerava secondo solo a Totò.

 

I racconti su come scrivevano, su come inventavano copioni. Sulle invenzioni inesauribili, sulla forza fisica, sul come si muoveva. Ora gesticola, il suo corpo resta fermo. Ricordo Roberto ai tempi di Arbore, la faccia da schiaffi di quell'improbabile critico cinematografico. Davvero peccato. La serata di Sanremo ha avuto una platea enorme, ma ho paura che l'effetto non sia stato positivo se l'intenzione, come è accaduto per le puntate precedenti, è di trasformare il Cantico dei cantici  in spettacolo da portare in giro. Servirà a raccontare di nuovo che l’impertinente Benignaccio non c’è più.

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