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C’ERA UNA VOLTA A HOLLYWOOD - SERGIO LEONE E QUELL’INVITO DA SHARON TATE LA SERA DEL MASSACRO - IL REGISTA DOVEVA ANDARCI CON VINCENZONI MA LO SCENEGGIATORE PARTI’ PER SAN FRANCISCO E LEONE PREFERI’ RESTARE A CASA – “NUN M’ANNAVA, NUN PARLO BENE INGLESE, FACEVA PURE CALLO, ME SO MESSO A DORMÌ”

Marco Ciriello per www.ilmessaggero.it

 

sergio leone

Andò a letto presto come Noodles, e non inciampò – come Dominik – nella violenza che investì Sharon Tate e i suoi amici. Era l’agosto del 1969 e Sergio Leone, con lo sceneggiatore Luciano Vincenzoni, cercava a Los Angeles i costumi per Giù la testa, poi uscito nel 1971. Un po’ si lavorava, un po’ si vedeva gente, e tra un attore e un cocktail arrivò l’invito per un dopocena a casa di Sharon Tate: la sera del 9 agosto. Vincenzoni lì conosceva un mucchio di gente, era amico di Billy Wilder, soprattutto, Ava Gardner, Ilya Lopert, e di Jack Beckett – che dirigeva la Transamerica Corporation, proprietaria della United Artists – e quando seppe di Leone lo invitò a casa sua a San Francisco. Un invito che non si poteva rifiutare.

 

luciano vincenzoni

Vincenzoni parte, Leone resta. L’aeroplano si alza, lo sceneggiatore vola verso il magnate, il regista vaga per Hollywood. Arriva la sera, e con la sera il massacro. Muore Sharon Tate, attrice e moglie di Roman Polanski – che, in ritardo, arriverà il giorno dopo – a sole due settimane dal parto. Con lei vengono uccisi dalla Charles Manson’s Family: Jay Sebring, Wojciech Frykowski e Abigail Folger, e Steven Parent. Il giorno dopo ne parla tutta l’America, Vincenzoni vede la notizia e pensa: «Oddio, è morto Sergio».

 

QUEL TELEFONO

Impossibile non veder apparire il telefono che squilla ossessivamente in C’era una volta in America – ma anni dopo, uscirà nel 1984 – e che rimbomba nelle orecchie di Noodles/De Niro nella fumeria d’oppio, è il tormento per il suo tradimento verso l’amico Max/James Woods, che a sua volta l’ha tradito. In pratica è quello che pensa Vincenzoni aspettando che Leone risponda.

sergio leone

 

sharon tate uccisa dalla manson family

Lo sceneggiatore sente la colpa di averlo lasciato da solo a Los Angeles, il peso di essere partito o di non esserselo tirato dietro. Ma il regista l’ha tradito, non è andato alla festa, si è addormentato. È vivo. Alza la cornetta, risponde al telefono, e racconta: «Nun parlo bene inglese, da solo senza te nun m’annava, faceva pure callo, me so messo a dormì». Solo Carlo Verdone potrebbe far rivivere questa conversazione imitando i due, l’esuberanza di uno e l’indolenza dell’altro. Lo salvò la pigrizia, anche se Leone era convinto che a salvarlo fosse stato Vincenzoni, andandosene. Non avremmo avuto Giù la testa e C’era una volta in America il film della vita, al quale già pensava.

 

sharon tate roman polanski

Ed è curioso che il più leonesco dei registi, Quentin Tarantino, cinquant’anni dopo quella tragedia esca con un film – Once Upon a Time in Hollywood (“C’era una volta a Hollywood”, un rimando a Leone) – che racconta proprio l’estate del 1969 a Los Angeles, e anche la morte di Sharon Tate (interpretata da Margot Robbie). Il cinema è l’unica opposizione alla morte, ricrea il tempo perduto, ci gioca, proprio come il tempo gioca con gli uomini.

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