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"IN TANTI INVIDIANO MIA MOGLIE MA LEI A TUTTI RISPONDE: ‘CHE PALLE, MI ALZO ALLA MATTINA E LUI MI FA SUBITO UN GIOCO’” – IL CABARET MAGICO DI RAUL CREMONA: "FACEVO IL RAPPRESENTANTE, POI È NATO IL MAGO ORONZO. MI SONO ISPIRATO A COMICI COME JERRY LEWIS: NEGLI USA C’ERA GIÀ LA MAGIA DIVERTENTE. ARRIVATO AL DERBY MI STRONCARONO: “I MAGHI NON LI VOGLIAMO”. MI SONO COSÌ INVENTATO IL MAGO CHE USA IL LINGUAGGIO DEL CABARET” – GLI SFOTTO’ A SILVAN (“LA PRESTIDIRIGIMIRI...ZZAZIONE") E IL PERSONAGGIO CHE CANZONA CARMELO BENE - VIDEO
Estratto dall'articolo di Flavio Vanetti per il “Corriere della Sera”
«La prestidirigimiri...zzazione».
Davanti a un caffè parte la battuta di culto con cui Raul Cremona corbella Silvan e allora hai la sensazione di essere entrato nel suo mondo unico: quello del cabaret prestato alla magia. O viceversa. Raul è stato, ed è ancora, Mago Oronzo, Jerry Manipolini, Giorgian, Normal Hamilton, Silvano il Mago di Milano, Sigmund and Joy, Omen, Jacopo Ortis, Evok, Steve Giobs, Yuri Papachenko. Insomma: uno, nessuno e centomila. Uno spasso da raccontare.
(...)
Ha inventato il cabaret magico.
«Mi sono ispirato agli americani e a comici come Jerry Lewis e Danny Kaye: negli Usa c’era già la magia divertente. Arrivai al Derby e mi stroncarono: “I maghi non li vogliamo”. Mi sono così inventato mago che usa il linguaggio del cabaret: la missione del cabaret è di distruggere la cosiddetta quarta parete e avere un contatto diretto con il pubblico, che spesso interviene».
Perché prima non accadeva?
«Perché i riferimenti erano Silvan, che presentava in modo classico, e Tony Binarelli, che aveva già “smaghizzato” la figura del prestigiatore».
Derby, fucina di talenti.
«Ma il mio è stato l’ultimo, quello di Paolo Rossi, Enzo Iacchetti, Francesco Salvi. E di Giorgio Porcaro, le cui vicende giudiziarie furono alla base della chiusura del locale. La diaspora tra Derby e Teatro dell’Elfo diede vita a Zelig».
C’è stata anche l’esperienza al Ca’ Bianca Club.
«Ci arrivai frequentando Salvi: trovai Nanni Svampa, Walter Valdi, Mario Rusca, Gerry Mulligan che capitava lì e lo guardavi stupito... Ho imparato a essere elegante: il maglione e i “scarp de tennis” non funzionavano. Io fregavo sia i cabarettisti, perché ero anche un mago, sia i maghi perché ero anche cabarettista».
Ha pensato di fare altro nella vita?
«Per un anno e mezzo ho fatto il rappresentante, poi ho insegnato educazione fisica. Però una sera sono finito in un locale ed è cominciato tutto».
(...)
Il mago «cucca» di più?
«Mai quanto i cantanti. Il mago attira gente strana: quando facevo Oronzo mi venivano a trovare tanti che mi ripetevano le battute; quando invece cantavo, mi fermavano le donne. Quindi raccomando di fare il cantante: mio figlio, famoso dj, al di fuori del teatro trova un sacco di ragazze; io invece trovo gli anziani che attaccano bottone».
È possibile una hit parade dei maghi?
«Non finirebbe mai. Metto Tommy Cooper in cima alla lista: è morto in scena. C’è lui che cade: infarto. Al primo sussulto la gente ride, al secondo ride e applaude. Lui si accascia e non possono rimuoverlo: è in diretta tv. Ma la gente ride ancora pensando che sia una gag, mentre i produttori non avevano capito se fosse davvero svenuto o se avesse fatto finta di farlo ai piedi di una bella donna apparsa sul palco».
A quali dei suoi maghi è più affezionato?
«Oronzo mi ha dato la popolarità. Dopo poche puntate di “Mai dire gol” il cachet è duplicato, poi è triplicato, quindi è quintuplicato e infine è diventato quello che è ancora oggi».
Sfotte Silvan, alias Aldo Savoldello da Venezia, ma lui è stato eletto miglior mago del mondo.
«Silvan rappresenta un’epoca che contiene la nostra infanzia. Quando dico la “prestidirigi...”, insomma quella roba lì, dico quello che affermava lui scandendo le parole: “Si dice pre-sti-di-gi-ta-zio-ne”. Da bambino mi colpiva, poi ho deciso di allungare la parola in ossequio ad Aldo. Quando gli annunciai che a Zelig avrei fatto Omen, commentò: “Va bene, ma ricordati di fare anche Silvan”».
Con Jacopo Ortis canzona Carmelo Bene.
«La mia creatività era alta, così è nato Jacopo Ortis. Ma oggi non è più attore, è regista. A volte purtroppo i personaggi devono sparire perché non ci sono più i locali per il varietà: l’esempio è Milano, città che amo e odio».
Omen non è politicamente corretto, con le battutacce sulle donne.
«Ma io me ne sbatto. Certe aziende mi dicono di non farlo, altre lo chiedono. Però il personaggio si riscatta quando arriva la telefonata della moglie e diventa succube. Sì, diciamo che oggi certe battute sono a rischio. Ma Omen ha una franchigia».
Butta male pure per Yuri Papachenko...
«Da qualche parte è scritto che è ucraino...: allora mi sa che è meglio dire che vive nella Papachenkia. La sua battuta? “Io ho macchina di verità, tu vuoi comperare?”. Guitto e truffaldino».
(...)
Sua moglie che cosa dice?
«Esci di casa. Tanti la invidiano: “Che bello, signora, stare con un marito così”. Ma lei: “Che palle, mi alzo alla mattina e lui mi fa subito un gioco...”».
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