CADUTO DALLA RUPERT – FOTTUTO DAL CINEMA, IL GAIO EVERETT ORA FA LO SCRITTORE SATIRICO E SFOTTE BENE I PAPERONI DI HOLLYWOOD

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Mariarosa Mancuso per "Il Foglio"

Un teppista newyorchese, alto e largo come le strade della città e altrettanto pericoloso. Una principessa del Galles dalle scarpe massicce, spesso in bianco per mettere in risalto gli occhi di ghiaccio. Una coppia da teatro di varietà: lui suonava l'organetto e lei reggeva i cerchi.

Sono Harvey Weinstein e Tina Brown, nel 1999, quando lanciarono la rivista Talk. Li racconta Rupert Everett nel suo memoir "Anni svaniti" appena uscito da Sperling & Kupfer.

Un attore che a metà degli anni 80 - dopo "Another Country" (la vita da collegiale di Guy Burgess, futura spia al servizio dei sovietici) e "Ballando con uno sconosciuto" (la storia di Ruth Ellis, ultima donna impiccata in Inghilterra, per aver sparato all'amante) - sembrava destinato a una brillante carriera.

Gliela rovinò uno sciagurato film con Madonna, "Sai che c'è di nuovo?", proposto per tutte le Pernacchie Cinematografiche del 2000. Bastò per cancellare il fascino dell'amico-gay-che-tutte-le- donne-vorrebbero avere, celebrato nel "Matrimonio del mio migliore amico".

La pubblica dichiarazione "sono gay", che non era una novità per nessuno, completò il disastro. A giudicare dai suoi memoir (il primo, sempre da Sperling & Kupfer, era "Bucce di banana") ha davanti una bella carriera da scrittore satirico. Tina Brown (ora ritirata dal Daily Beast) e Harvey Weinstein (uno dei produttori che agli Oscar detta legge) sono soltanto un paio dei perfidi ritratti.

C'è veleno anche per Simon Schama, all'epoca lo storico prediletto di Tina Brown. Aveva appena pubblicato "Paesaggio e memoria" (l'ultimo lavoro è "The Story of The Jews", serie tv per la Bbc con due volumi a corredo). In mezzo a un gruppo di donne adoranti "le inonda di parole e spruzzi di saliva allo champagne". Rupert Everett ne riconosce il fascino, poi gli dà di "maschio lesbico, perfino più pericoloso di una vera lesbica (se fatto innervosire)".

Un attacco di gelosia in piena regola: "Voglio essere io il cocco di Tina!". Ora che il posto è libero, Rupert Everett potrebbe farsi avanti. Nessuna gelosia per Alan Greenspan, custode delle finanze americane che durante la stessa festa - dall'ambasciatore britannico a Washington - si alzava "come un'erezione mal riuscita" per abbracciare una signora.

L'ambasciata arredata come un set di Luchino Visconti - sempre parole di Rupert Everett - suggerisce l'idea per una serie tv, "Mr. Ambassador". Cominciano le peregrinazioni in cerca di uno showrunner, l'industria televisiva risulta più perigliosa di uno stagno zeppo di coccodrilli.

La trama, in parte rubata a "Un marito ideale" di Oscar Wilde, prevedeva un ambasciatore con moglie depressa. Arrivato nella magione scopriva la consorte dell'ambasciatore precedente ("un tipo alla Glenn Close") che rintanata nell'appartamento della governante continuava a organizzare feste.

Colpo di scena: la moglie dell'ambasciatore in carica e l'intrusa erano compagne di scuola e si detestavano. Fu un disastro, come fu un disastro la partecipazione di Rupert Everett a "The Apprentice", il format che in Italia ha Flavio Briatore nel ruolo del Boss. Non possedendo un televisore, aveva capito "The Avengers", e già si vedeva nei panni di una supereroina.

L'invito fu probabilmente una vendetta. La produttrice era infatti Emma Freud, pronipote di Sigmund, nipote di Lucian e sposata a Richard Curtis, regista di "Notting Hill" e "Love, Actually - L'amore davvero". Secondo Rupert Everett, "l'uomo che sta a Tony Blair come Leni Riefenstahl stava a Hitler". Son cose che una signora non vuol sentir dire di suo marito.

 

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