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LA CANNES DEI GIUSTI – BUONE NOTIZIE PER IL CINEMA ITALIANO. C’È DA BRINDARE PER QUESTO PICCOLO E INTELLIGENTISSIMO “LE CITTÀ DI PIANURA”, OPERA SECONDA DEL TALENTUOSO FRANCESCO SOSSAI – SONO UN FAN TOTALE DEI SUOI DUE PROTAGONISTI, CINQUANTENNI ‘MBRIACONI SENZA FUTURO CHE GIRANO TUTTA LA NOTTE ALLA RICERCA DI UN ULTIMO BICCHIERE - SOSSAI DOSA I SUOI ELEMENTI FACENDO CRESCERE IL FILM CON UNA TRAMA PIÙ COMPLESSA DEL PREVISTO, COGLIENDO LO SPETTATORE CHE PENSAVA DI SAPERE TUTTO ALLA SPROVVISTA. TUTTO QUELLO CHE CI SERVE È SOLO UN ALTRO BICCHIERE… - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
pierpaolo capovilla, sergio romano e filippo scotti, le citta di pianura
Buone notizie per il cinema italiano. C'è da brindare. Come nel film. Un altro bicchiere. Un ultimo bicchiere. Poi un ultimissimo. Poi quella della mattina dopo, all’alba. Che è ancora vista come la fine della notte. Oé, boccia.
Insomma sono un fan di questo piccolo, intelligentissimo film dal titolo alla Cormac McCarthy, “Le città di pianura”, opera seconda del talentuoso Francesco Sossai, che leggo nato a Feltre, cresciute nelle Dolomiti, aiuto di Luca Guadagnino, autore di un altro bizzarro film, “Altri cannibali”, e di un paio di corti di livello, presentato adesso in concorso a Un Certain Regard.
E sono un fan totale dei suoi due protagonisti, cinquantenni ‘mbriaconi senza futuro che girano tutta la notte alla ricerca di un ultimo bicchiere, Pierpaolo Capovilla, cantante degli One Dimension Man e del teatro degli orrori, che interpreta il Dori, e Sergio Romano, attore di professione visto parecchio ultimamente (“Romulus”, “Il nibbio”), che interpreta CarloBianchi detto tutto accattato, o Charley-White, come fosse un eroe di un romanzo di Cormac McCarthy.
Il Dori e CarloBianchi li troviamo già ubriachi, stesi in un non chiaro posto della pianura veneta che si preparano all’ultimo bicchiere prima di andare a prendere, la mattina dopo, all’aeroporto di Treviso un vecchio socio, Eugenio detto Genio, cioè Andrea Pennacchi, che è andato in Argentina per non finire in galera dopo una truffa continua e geniale alla fabbrica dove lavoravano. Potrebbe essere una grande commedia veneta coi protagonisti in giro per la notte.
Ma la faccia del Dori è troppo segnata e quella del CarloBianchi troppo dolorosa per essere una commedia. Finisce che rimediano a Venezia un giovane studente di Architettura terrone, Giulio di Filippo Scotti, con occhialini e barbetta, e lo portano in giro con loro dopo averlo salvato da una passione impossibile per una compagna laureanda.
Lui dovrebbe tornare a Mestre, vorrebbe vedere la Tomba Brion di Carlo Scarpa a San Vito, in provincia di Treviso, citazione troppo colta per essere una trovata da Film Commission. Ma si unisce ai due in un gioco infinito di rimandi e di bicchieri da svuotare. Pure le lumache e la polenta della Mery. Finiscono anche in una villa veneta da salvare dall’arrivo di qualche svincolo d’autostrada, con CarloBianchi che rivelerà interessi sessuali per il padrone di casa.
Alla fine tutto torna in una trama narrativa che solo apparentemente ci poteva apparire non controllata. Anche la recitazione dei due protagonisti non è per nulla improvvisata. Sossai dosa i suoi elementi facendo crescere il film con una trama più complessa del previsto, cogliendo lo spettatore che pensava di sapere tutto alla sprovvista. Nostalgia, mitologia veneta, lamento per un mondo che sta scomparendo solo elementi di un racconto funzionale a uno sviluppo cinematografico più che sentimentale. Tutto quello che ci serve è solo un altro bicchiere.
le citta' di pianura
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