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LA CANNES DEI GIUSTI - QUA SEMBRA CHE PIACCIA TUTTO E TUTTO FUNZIONI BENISSIMO. SI CONTANO I MINUTI DEGLI APPLAUSI. SEMBRA CHE ABBIA IL RECORD “CLOSE” DI LUKAS DHOLT, CHE FA PIANGERE L’INTERA SALA LUMIÈRE CON LA SUA STORIA DI AMICIZIA E DI IDENTITÀ DI GENERE. C’È CHI LO DÀ PER SICURO COME PALMA D’ORO - SUI PREMI C’È UNA GRANDE CONFUSIONE. “VARIETY” PONE COME FAVORITO “TORI E LOKITA” DEI DARDENNE, CHIEDENDOSI PERÒ SE POSSONO I DARDENNE VINCERE PER LA TERZA VOLTA LA PALME D’OR. TROPPO, NO? – VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Qua sembra che piaccia tutto e tutto funzioni benissimo. Si contano i minuti degli applausi in sala. Sembra che abbia il record “Close” di Lukas Dholt, il regista dello strepitoso “Girl”, che vinse la Camera d’Or nel 2018, per la prima volta in concorso, che fa piangere l’intera sala Lumière con la sua storia di amicizia e di identità di genere. Grandi voti dai critici.
“Broker” di Hirokazu Kore Eda, una garanzia, col suo cast di attori coreani, Lee Ji-eun, Song Kang-ho, Bae Doona, finisce per fare lo stesso film di sempre costruito sul concetto di famiglia che te la ricostruisci da solo ma spostato in Corea del Sud. Non bello come “Shoplifter” per molti, ma comunque di gran classe e lancia la stella della protagonista Lee Ji-eun.
“Pacifiction” del regista catalano Albert Serra, quello di “Liberté”, “La mort de Louis XIV”, “Historia de mi muerte”, che fortunatamente avevo visto al Marché, con un fenomenale Benoit Magimel è un complesso lavoro di grande eleganza visiva, con un widescreen da vecchio cinema americano, dedicato a una seria riflessione sul colonialismo europeo, in particolare francese perché stanno a Tahiti, e su come gli intrighi politici abbiano minato il paradiso naturale polinesiano.
In mezzo a whisky, locali non poco ambigui, bellezze del posto di ogni genere. Il tutto Serra lo fa con un tipo di cinema che i fan di Fassbinder e Schroeter ben conoscono, grandi costruzioni di tableaux dove far circolare i personaggi e l’orrore che portano con sé. Benoit Magimel è un diplomatico francese che si ritrova a gestire corruzione locale, esperimenti nucleari, a parlare con gli abitanti di Tahiti e a rappresentare il peggio di un paese alle prese col proprio colonialismo. I critici più oltranzisti lo hanno molto amato.
Oggi passano gli ultimi titoli del concorso, “Showing Up” di Kelly Reichardt e “Mother and Son” di Leonor Serraille, a dimostrazione di quanto Cannes abbia aperto le porte alle registe donne in questi ultimi anni dopo le Cannes appaltate al potente orco Harvey Weinstein, che ben ci ricordiamo tutti. O no?
Quanto ai premi c’è una grande confusione a leggere i giornali internazionali specializzati. “Variety” pone come favorito il bel film dei Dardenne sui due ragazzi africani in Belgio, “Tori et Lokita”, chiedendosi però se possono i Dardenne vincere per la terza volta la Palme d’Or. Troppo, no?
Pone come seconda scelta “il thriller iraniano con serial killer di prostitute “Holy Spider” di Ali Abbasi, il regista di “Border”, premiato nel 2018 a Un Certain Regard. Il film potrebbe anche vincere per i due migliori attori. E gran parte della critica spinge il sofisticatissimo noir di Park Chan Wook, “Decision to Leave”.
Ma c’è chi dà per sicuro “Close” di Lukas Dholt, o “Broken” di Hirokazu Kore Eda, mentre una Palm d’Or trasgressiva potrebbe essere quella per “Pacifiction” di Albert Serra, che molto spinge anche il suo protagonista, Benoit Magimel. Intanto è arrivato un premio vero alla Quinzaine, l’Europa Cinema Label Award, vinto da “Un beau matin” di Mia Hanson Love con Léa Seydoux protagonista.
close di lukas dhont
i fratelli dardenne
red carpet close di lukas dhont
broker di hirokazu kore eda
tori e lokita. 2
red carpet pacifiction
mother and son
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