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Marco Giusti per Dagospia
Cannes. In una giornata che sara' interamente dominata dal bellissimo film dei Coen e dalla loro nuova star Oscar Isaac, e gia' voglio la colonna sonora, non e' facile mostrare qualcosa di impressionante. Si va giu' pesantissimi pero' nel thriller casalingo o favola dark con "Borgman", in concorso, dell'olandese Alex van Warmerdam (astenerdi dalle battute, prego), giunto al suo nono e più oscuro film che ci ha dato una bella svegliata stamattina.
Nelle intenzione del regista e' un film sul male del quotidiano in ogni sua forma. Borgman, un barbutissimo Jan Bijvoet con una faccia tra Rezza e Beruschi, viene svegliato nella casa-bara sotto il bosco, dove dorme come Dracula, da due cacciatori e un prete decisi a eliminarlo.
Non ci riescono, Borgman avverte altri due dormienti del bosco e arriva in citta', imboccando nella villetta di una coppia borghese con figli, Marina, cioe' Hadewych Minis, moglie repressa e il più rozzo marito Richard, cioe' Jeroen Perceval, razzista e violento. Se il marito lo gonfia di botte, Marina in segreto lo cura e Borgman penetra rapidamente nella sua vita, fino a tagliarsi barba e capelli e a ripresentarsi come giardiniere, dopo che ha eliminati quello vera (e pure la moglie) cementandogli la testa in un vaso e spedendo il tutto in fondo a un lago con grande effetto comico.
Ma non e' solo un barbone come Boudu di Renoir, capace di fare scoppiare i dissidi latenti della coppia borghese, e dell'intera societa' malata, o la sessualita' repressa di lei, e' anche a capo di una misteriosa banda composta da altri due uomini e due donne che progettano non si sa bene quale invasione vampiresca.
Sorta di "Funny Games" olandese, molto politico, ma un po' oscuro nella sua voglia di non spiegarci troppo (perche' la setta ha una cicatrice sulla spalla?), e' un buon film difficilmente remakkabile con due ottimi interpreti, il duro Jav Bijvoet e Hadewych Minis, ma non ha grandi chance di premi.
Finalmente abbiamo le idee più chiare sui film che sono piaciuti di più, se non alla giuria, anche se dicono che Spielberg abbia molto amato "Le passe'" di Farhadi, almeno alla critica internazionale. E tra i più amati cresce subito "Inside Llewyn Davis" dei Coen, candidato sia come miglior film e miglior regia. Anche come miglior attore protagonista, vista la forza di Oscar Isaac al suo primo ruolo da protagonista.
Molto lanciato e' anche "Le passe'" che offre a Berenice Bejo molte possibilita' di un premio. "Jimmy P." potrebbe forse ottenere un premio per i due protagonisti maschili, Mathieu Amalric e Benicio Del Toro, anche se Del Toro vinse il premio come Miglior Attore qualche anno fa a Cannes con "Che".
Ma devono ancora passare troppi film per fare bilanci. E' stata una buona giornata anche a Un Certain Regard, dove e' stato accolto con grandi applausi "L'image manquante" del cambogiano Rithy Panh, incredibile racconto della sua infanzia e del delirio della rivoluzione di Pol Pot e degli Khmer Rossi tutta descritta con una voce narrante in prima persona e immagini, tratte da documentari, film di propaganda e film d'epoca, uniti, proprio nelle immagini mancanti, da quelle ricostruite dal regista con dei meravigliosi pupazzetti in plastilina colorati a mano che fanno rivivere la sua vita e quella di milioni di disperati che fuggirono da Phnom Pem nel 1977.
Rithy Panhn spinge molto sul doppio binario del suo film, il diario personale della tragedia della sua famiglia, il padre che rifiuta di mangiare, il fratello rockettaro che trova la morte in citta', la sorella che muore di stenti e di fame nei campi di riso, e il diario della ricostruzione delle immagini mancanti, nella memoria e nelle cineteche.
Pellicole che ci arrivano come dal nulla, un operatore di Pol Pot che ci lascia in eredita' terribili scene di carestie e per questo viene punito con la morte. Non si tratta solo di raccontare il male provocato dall'ideologia e, prima, dal capitalismo, quanto di viaggiare nella memoria per fissare la visione del quotidiano mancante, degli anni della infanzia che ci ritornano in mente con i loro colori.
E proprio il colore e' una delle parti mancanti della costruzione visiva della Cambogia di Pol Pot, tutta in bianco e nero e tutta osannante il Fratello numero Uno. E' dal colore di un brandello di un vecchio film anni '60 e da quelli della mano che dipinge i pupazzi che parte Rithy Panh, che si muove il film alla ricerca di una realta' perduta e da li' raccontera' una tragedia e l'odissea di un popolo.
Stasera seratona allegria con tre ore e 40 minuti di "Le dernier des injustes" dell'87 Claude Lanzmann, il regista del memorabile "Shoa", che riprende e rielabora una sua vecchia intervista fatta a Roma nel 1975 a Benjamin Murmelstein, figura importante e considerata ambigua dell'ebraismo in quanto unico sopravvisuto tra "i maggiori degli ebrei", come li chiamavano i nazisti. Speriamo di non addormentarci.
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