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Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Sesto giorno. Con Fiore di Claudio Giovannesi arriva il terzo e ultimo film italiano presentato alla Quinzaine des Realisateurs. Giovannesi, giovane allievo del Centro Sperimentale, autore di un bel film d'esordio che venne presentato a Roma, Alì ha gli occhi azzurri, tutto girato a Ostia, è da tempo considerato un regista di punta. Infatti Stefano Sollima lo ha voluto fra i registi della seconda stagione di Gomorra a fianco di Francesca Comencini e Claudio Cupellini.
Questo notevolissimo Fiore, che si dice molto amato dai selezionatori della Quinzaine, è molto simile, come struttura narrativa e messa in scena, con grandi piani sequenza girati con la steadycam, al precedente Alì. Di più ha una strepitosa protagonista, Daphne Scoccia, non solo debuttante e non attrice, era cameriera quando l’ha scoperta il regista a pochi giorni dall’inizio delle riprese del film. Inedita, un po' come Ilenia Pastorelli di Jeeg Robot, anche lei non-attrice o anti-attrice, ma senza le corde di commedia.
Sullo schermo è dura e chiusa nella prima parte e diventa romantica e pazza nella seconda. Anche se il rischio di una dardennata costruita a tavolino, con la macchina da presa attaccata alla nuca del o della protagonista, un po’ esiste, va detto che il gran lavoro che fanno Giovannesi e lei stessa sul personaggio, sul suo corpo, sui suoi desideri, rende Fiore qualcosa di vivo e emozionante. E di credibile. Daphne, che prende nel film il suo vero nome, è una ragazza minorenne difficile che vive di furtarelli, ruba cellulari alle ragazze e ai ragazzi sulla metro, armata di un coltellino.
Il padre, Valerio Mastandrea, appena uscito di galera in libertà vigilata (infatti torna a dormire a Rebibbia) non è proprio un padre presente, la madre chissà che fine ha fatto. Daphne, insomma, non ha nessuno e su nessuno può contare e, quando la arrestano perché ha cercato di rubare il cellulare al figlio di un poliziotto, finisce dritta in riformatorio con altre ragazze. Per lei non sarà facile adattarsi alla galera.
E anche quando scopre che potrebbe ritornare fuori a vivere col padre, proprio il padre le dice che non è possibile, visto che vive a Ostia con una polacca con figlio e non ha spazio dove tenerla. In tutto questo disastro, Daphne scopre però l'amore proprio fra le sbarre. Si innamora infatti di un ragazzo finito anche lui in riformatorio che intravede nelle ore d'aria e dalla sua cella.
E' Josciua, interpretato da un altro non attore, Josciua Algeri, anche lui con vari problemini da sistemare e una fidanzata che lo ha mollato come è entrato al gabbio. Così parte una storia di amour fou giovanile che è la chiave di svolta narrativa del film, benissimo costruito e diretto e che, probabilmente, ha un linguaggio più giovanile degli altri film italiani presenti a Cannes.
Giovanile nel senso che può piacere a un pubblico più giovane e più JeegRobotgeneration, per intenderci. Il rischio del film di Giovannesi, come di quelli di tanti giovani registi italiani, è puntare molto sulla costruzione tecnica del racconto più che sulla sceneggiatura. Ma in questo caso, grazie alla freschezza dei suoi protagonisti, e al gran lavoro sui personaggi, credo che alla fine l'umanità e la realtà di quello che si sta raccontando venga fuori e il pubblico riesca a percepirlo.
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