
FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI…
1.LEONARDO? MACCHÃ, UNA CROSTA - INFORTUNIO DI "SETTE": SPACCIA PER OPERA AUTENTICA UNA (BRUTTA) COPIA DIPINTA DI UN DISEGNO CONSERVATO AL LOUVRE.
Tomaso Montanari per "il Fatto Quotidiano"
Leonardo, il capolavoro ritrovato", "Un mistero durato 500 anni", "Potrebbe cambiare un pezzo significativo della storia dell'arte": sulla copertina di Sette e sul Corriere della Sera di ieri è ricomparso, come per incanto, tutto l'armamentario retorico del "grande scoop" artistico che ciclicamente affligge i giornali italiani.
E, come nel 99% dei casi, anche questa volta lo si è estratto dalla naftalina senza ragione: perché si tratta dell'ennesima bufala inflitta alla memoria del povero Leonardo da Vinci, un artista così maltrattato che se esistesse il telefono azzurro dei grandi maestri gli converrebbe chiedere la linea diretta.
Stavolta si tratta di un quadro che raffigura Santa Caterina d'Alessandria, e che riprende testualmente un'invenzione (questa sì) leonardesca, attestata in un celebre disegno del Louvre in cui il Vinci ritrasse Isabella d'Este. Un documento storico di un certo interesse, dunque: che però Carlo Pedretti (decano dei leonardisti) attribuisce nel volto allo stesso Leonardo, e nel resto a un allievo (il "Salai o il Melzi", scrive nell'expertise pubblicato integralmente da Sette).
Ma basta guardare anche solo la fotografia per capire che siamo di fronte a una (brutta) copia. Certo, a meno che sotto quel che si vede non si nasconda tutta un'altra stesura pittorica. Ma allora tanto varrebbe pubblicare la foto di una tenda, e scrivere: "Fidatevi, dietro c'è un Leonardo". Ma stiamo a quel che si vede. Chi di voi se la vorrebbe mettere in casa, una simile crosta?
E questo è il punto: la storia dell'arte non è una disciplina tanto arbitraria ed esoterica da ribaltare la realtà e il senso comune fino a poter stabilire che un quadro che appare francamente brutto a chiunque abbia occhi sia invece nientemeno che un capolavoro di Leonardo! Se la si racconta così, il risultato inevitabile è che il pubblico si senta preso in giro, allontanandosi.
Ed è uno spreco assurdo: perché se è vero che il culto di massa di Leonardo è anche il frutto di un martellante conformismo mediatico, è anche vero che la gente fa la fila perché quei quadri sono capaci di comunicare la loro straordinaria bellezza anche a chi non sa nulla di storia dell'arte.
Dopo che l'Ansa pubblicò con straordinario clamore i cento disegni "di Caravaggio" (che nessuno oggi ricorda più, anche se è passato solo un anno), scrissi su queste pagine: "La prossima volta che qualcuno si presenterà con cento terrecotte di Leonardo o cinquanta marmi di Michelangelo verrà dunque sottoposto a una qualche verifica? Tutto lascia credere di no: per la prossima bufala storico-artistica è solo questione di giorni".
Ed eccoci qua: non è servito l'infortunio dell'Espresso col finto Raffaello in copertina, né quello del Sole 24 Ore col finto Caravaggio in prima. E uno si chiede, per l'ennesima volta, ma perché un giornale come il Corriere della Sera sdogana una simile enormità ?
La risposta è: perché non ha ritenuto di dover controllare la fonte, fidandosi a scatola chiusa della pretesa auctoritas che ha proposto l'attribuzione, il professor Carlo Pedretti. Ma per non fare figuracce sarebbe bastato, non dico consultare la bibliografia scientifica, ma almeno interrogare l'archivio storico dello stesso Corriere .
Lì si trova, per esempio, la mirabile notizia che nel 1998 Carlo Pedretti pubblicò ed espose come di Leonardo il disegno di un cavallo che il pittore contemporaneo Riccardo Tommasi Ferroni (1934-2000) aveva eseguito in gioventù. Il disegno fu riconosciuto come suo dallo stesso Tommasi Ferroni, che visitava la mostra insieme a Vittorio Sgarbi: e quest'ultimo racconta che mentre l'artista era in fondo lusingato, fu l'accademico a offendersi, sentendosi gabbato.
Un precedente che avrebbe potuto indurre la redazione a un minimo di prudenza: e che non è l'unico che si potrebbe raccontare. Pedretti è, per esempio, l'unico leonardista che abbia appoggiato la scervellata ricerca della Battaglia di Anghiari cavalcata da Matteo Renzi.
Accanto al culto acritico dell'autorità , c'è poi la venerazione altrettanto prona del dato scientifico presunto esatto. Alludo all'immancabile esame del carbonio 14, che stabilisce che il dipinto sarebbe stato realizzato tra 1460 e 1650: cioè da quando Leonardo aveva otto anni a quando era morto da 231. Un dato utile, non c'è che dire! E anche ammesso che sia vero, cosa mai può aggiungere a ciò che l'occhio immediatamente rivela: e cioè che si tratta di una (brutta) copia dipinta (se è vero) in quel lasso di tempo?
E allora, che si dovrebbe fare quando si riceve una notizia del genere? Semplice: seguire regole elementari, quelle che gli stessi professionisti applicherebbero istintivamente in tutti gli altri ambiti, ma che sembrano evaporare a contatto con l'ineffabile magia che circonfonde la "critica d'arte". E cioè: verificare l'attendibilità delle fonti, sentire pareri terzi, fidarsi dei propri occhi e non genuflettersi alla (presunta) autorità .
Sarebbe davvero importante che questo messaggio passasse, una volta buona. E non per il buon nome del giornalismo italico (che ha ben altri problemi!): ma perché ogni lancio di agenzia, articolo di giornale o servizio televisivo che contribuisca a propalare la bufala figurativa di turno non solo comunica il falso e promuove l'eradicamento del senso critico, ma - nei rigidi palinsesti italiani - toglie spazio a un discorso sulla storia dell'arte che possa educare al patrimonio diffuso, denunciarne lo stato rovinoso, promuoverne la conoscenza e la frequentazione. Ed è questo che è grave.
2. L'ESPERTO DI LEONARDO: AUTENTICO IL RITRATTO DI ISABELLA D'ESTE
Veronica Laura Artioli per il "Corriere della Sera"
«Se Leonardo o la sua bottega avessero prodotto il ritratto chiesto da Isabella d'Este, questo avrebbe dovuto basarsi sulla versione oggi conservata all'Ashmolean Museum di Oxford, non su quella del Louvre», è il commento del professor Martin Kemp, insieme con Carlo Pedretti massimo esperto mondiale di Leonardo. E in effetti è così: la tesi di Kemp calza a pennello al ritratto custodito in un caveau in Svizzera che Pedretti ed Ernesto Solari (primo scopritore che l'ha studiato a fondo) ritengono autentico.
L'indagine scientifica dimostra la presenza del libro, cancellato successivamente dagli interventi degli allievi. Eppure il giudizio di alcuni critici d'arte consultati per esprimere un parere su quel dipinto vorrebbe escluderne l'autenticità . Il più convinto è Tomaso Montanari, che ritiene si tratti «certamente» di una copia, «forse del vero ritratto andato perduto».
Gli dà manforte Vittorio Sgarbi: pur riconoscendo la grandezza di Carlo Pedretti come straordinario conoscitore del genio fiorentino, ne mette in dubbio alcuni aspetti di valutazione critica sulle opere d'arte. Era naturale che il ritrovamento del «Ritratto di Isabella d'Este» pubblicato ieri su Sette accendesse un dibattito tra gli studiosi di Leonardo.
Le attribuzioni e il giudizio critico su un'opera d'arte sono atti complessi, controversi e destinati a rimanere spesso problematici. Per questo, altri studiosi sono d'accordo nel mantenere una linea di prudenza. Secondo Mina Gregori e Alessandro Vezzosi «è impossibile esprimere un giudizio su un dipinto così importante da una fotografia, giudicare da un'immagine non è scientificamente corretto. Tra l'altro, spesso si commettono errori perché un'attribuzione può basarsi su ciò che non si vede».
I professori Carlo Falciani e Pietro Marani sospendono il giudizio: «Vedendo l'immagine pubblicata non la attribuirei a Leonardo, ma esprimere un'opinione senza aver potuto vedere dal vivo il dipinto è impossibile». Ad aver avuto questo privilegio rimangono, per ora, Carlo Pedretti ed Ernesto Solari. Secondo il loro parere «si tratta di un'opera autentica per quanto attiene al volto, alla luminosità e alla morbidezza dei lineamenti e anche nel particolare dell'occhio, il resto è opera di allievi e di successivi rimaneggiamenti che l'hanno trasformata in una modesta Santa Caterina d'Alessandria».
Il loro giudizio è contenuto in 300 pagine di studi e analisi scientifiche: l'imprimitura della tela leggera e i pigmenti ritrovati attraverso la stratigrafia dell'opera sono stati preparati esattamente come Leonardo descrive nel Trattato della pittura ; la lettura multispettrale del dipinto fa emergere chiaramente la presenza del libro (non visibile a occhio nudo) che ricondurrebbe alla copia del ritratto conservato presso l'Ashmolean Museum di Oxford e non a quella del Louvre, dove non compare nessun libro. Proprio questa è la tesi di Martin Kemp.
3. IL LEONARDO RITROVATO? Ã UN'AUTENTICA CROSTA
Vittorio Sgarbi per "il Giornale"
Sconcerto soprattutto, oltre che stupore, prova chi, con esperienza seria di opere d'arte, trova, ancora una volta, su un quotidiano autorevole e rispettabile, la notizia di un eccezionale ritrovamento, «il Leonardo mai visto».
Del «mai visto» spesso si abusa. Fu così anche per una scolastica Fuga in Egitto dell'Hermitage di San Pietroburgo, erroneamente riferita a Tiziano e pomposamente esposta all'Accademia di Venezia.
«Mai vista» perché non era del grande artista veneziano. C'era poco da vedere. E il vero Tiziano mai visto, il San Lorenzo dei Gesuiti appena restaurato, era esposto in una Banca di Alba. Qualche mese prima era stato «scoperto» un altro capolavoro, un Sant'Agostino di Caravaggio, dipinto circa quarant'anni dopo la morte del Maestro e reso noto con euforia sul Sole 24 Ore. Alle contestazioni sull'impossibilità , anche per Caravaggio, di dipingere dall'aldilà , il direttore del giornale fu turbato e quasi offeso, perché io, mai prima, come altri studiosi, interpellato, avevo rovinato la festa. Oggi a quel Caravaggio non crede più neppure chi volle, con grande convinzione, pubblicarlo.
Stessa reazione da parte di Bruno Manfellotto, direttore dell'Espresso, il quale pubblicò in copertina un falso Raffaello (derivato dalla Visione di Ezechiele), promosso in assoluta solitudine dal più frivolo dei miei allievi, ragazzo scanzonato e del tutto incompetente per titoli e per esperienza, con l'aggravante di aver derubricato a copia l'originale conservato a Palazzo Pitti.
Ma le bufale più clamorose riguardano Leonardo. Arrivarono da me, qualche anno fa, due sprovveduti proprietari di un buffo «Autoritratto di Leonardo» di evidente fattura tardo-ottocentesca, vacuamente illustrativo, con l'effetto di sembrare una caricatura dell'attore che impersonò Leonardo nello sceneggiato televisivo di Renato Castellani: Philippe Leroy. Una cosa da ridere, e io ci risi infatti con i poco spiritosi promotori del dipinto da loro reperito ad Acerenza in Basilicata.
Ma il dipinto fu esposto, mi pare, a Potenza e forse perfino a Roma, con il compiacimento di illustri competenti e il parere di Carlo Pedretti, esperto unico di Leonardo. Naturalmente i giornali celebravano la scoperta con importanti articoli: sul Messaggero, sull'Unità e sulle testate locali. L'onda lunga del «capolavoro ritrovato» continua: il dipinto è oggi esposto in una sede pubblica a Cava de' Tirreni, con la compiacente benedizione della Soprintendenza.
Ma Leonardo farlocco era arrivato anche in sedi più prestigiose. L'anno scorso, una copia, indegna di Porta Portese, riportata in Italia con tutti gli onori e con l'impegno dei Carabinieri e dei funzionari delle Belle arti, fu esposta come un «capolavoro» al Quirinale, con la benedizione del presidente di così larghe intese, e altrettanto larghe spese (e promesse di sensazionali prestiti, per reciprocità , alla fantomatica fondazione giapponese proprietaria della crosta), da comprendere anche Salvatore Settis, con conferenza all'Accademia dei Lincei, e perfino di uno stranamente compiacente Tomaso Montanari, che finse di vedere un interesse nel modestissimo manufatto ma che ebbe il buon senso di convincere i promotori a non usare e abusare del nome di Leonardo.
Il valore dell'oggetto ispirato all'affresco perduto della Battaglia di Anghiari? Duemila euro. Anche in questo caso qualche sussurro rassicurante era venuto da Carlo Pedretti, già distintosi per aver attributo a Leonardo uno schizzo, sempre per la Battaglia di Anghiari, realizzato da Riccardo Tommasi Ferroni. Io, per puro caso, in visita a Camaiore da Riccardo Tommasi Ferroni, andai proprio con lui a vedere la mostra.
E fu così l'autore a riconoscersi, a sorridere e a reclamare la paternità del disegno. Più tardi, amico di entrambi, feci incontrare il pittore e Pedretti, senza riuscire a renderli amici, perché Pedretti non si voleva rassegnare a rinunciare al «suo» Leonardo. Ne seguì perfino un contenzioso giudiziario, perché un magistrato, sconoscendo l'euforia leonardesca di Pedretti, pensò a una truffa. Ma il truffato, oltre al pubblico, non era né Tommasi né Leonardo, bensì Pedretti, orfano dell'ennesimo Leonardo.
Ed eccoci all'ultima scoperta, resa nota nelle «cronache» del Corriere, e rinforzata con un convintissimo e doviziosissimo articolo esclusivo su Sette che annuncia: «Ritrovato dopo 500 anni il meraviglioso ritratto che Leonardo da Vinci fece a Isabella d'Este».
Peccato che non ci sia il quadro, o meglio, ci sia la solita patacca, triste, sconfortante, inadeguata, senza neppure la parvenza dell'autografo, a danno di Leonardo e di quanti sarebbero felici di vedere almeno un'opera problematica come è stata, con minor clamore, quella Bella principessa pubblicata anche su Sette, proposta da Martin Kemp con un bel catalogo Allemandi e raccontata dal proprietario, il collezionista Peter Silverman, in un libro pubblicato da Piemme. Basta accostare l'immagine elegante e sofisticata di quest'ultima con quella goffa e bambagiosa, senza volume, senza chiaroscuro, presentata dal Corriere.
Corriere questa volta ingannato da un'esposizione in prima persona, con tanto di lettera e perizia di Pedretti, non ritenendo, anche per l'esperienza dell'autorevole studioso, di doversi consultare con altri, magari più sensibili ai valori pittorici e meno a misteri ed enigmi da risolvere: penso a Mina Gregori, ad Antonio Paolucci, a Carlo Bertelli, a Nicola Spinosa, a Pietro Marani, a Luisa Cogliati Arano. Pedretti è un formidabile studioso di carte, documenti, teorie, ma rispetto ai dipinti è un gatto nero cieco in una notte senza luna. Dottor Jekyll e Mister Hyde. Vede ciò che non c'è, ciò che pensa debba essere di Leonardo. Insieme alla condizione permanente di mistero che circonda l'artista, c'è anche la confusione delle fonti, che nasconde spesso interessi e illusioni mercantili. Pedretti insegue la scienza, i collezionisti il tesoro. Due percorsi diversi uniti dal tema del giallo, della scoperta.
Speculazione materiale che si confonde con speculazione intellettuale. Lo stesso intreccio di interessi intellettuali ed economici si è verificato nel Crocefisso attribuito a Michelangelo, improvvidamente acquistato dallo Stato per 3,2 milioni di euro. Peccato che il Crocefisso non fosse suo. Ai grandi nomi si aggiunge anche quello del Caravaggio, suprema sòla.
Nel caso del Leonardo in esame è instabile anche la proprietà ed è incerta e indefinita l'ubicazione.
Non si capisce se per difendere la riservatezza, per timore di furti, per paura delle tasse, o per volontà di confondere le acque. Il dipinto infatti non è stato recuperato nei depositi di un museo e meglio studiato dopo un restauro, ma in una misteriosa e anonima «collezione privata di una famiglia italiana che vive tra il centro Italia e la svizzera tedesca (la cittadina di riferimento sarebbe Turci nel cantone di Argovia)», per non dire che la provenienza è Porta Portese, e la sede di esportazione abusiva (svizzera tedesca) è in un luogo che sfugge alla vincolante normativa italiana, benché si tratti di una crosta di nessun valore, naturalmente ritenuta preziosissima dai proprietari.
In sintesi si tratta di una modesta e tarda copia (neppure di Salaì o Melzi) del Ritratto di Isabella d'Este conservato al Louvre, mirabile disegno eseguito a carboncino e a pastello giallo, delle stesse identiche dimensioni. Certamente un omaggio a Leonardo. A insospettire, oltre la coincidenza perfetta delle misure, devono essere, al confronto con l'originale, la debolezza del disegno, la totale assenza del volume dei capelli, il traballante travestimento in Santa Caterina. Una modesta testimonianza di devozione a Leonardo di cui Leonardo avrebbe sorriso.
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