CAROLINA, VITTIMA DL CYBERBULLISMO: MA ANDARE CONTRO FACEBOOK E’ COME ACCUSARE LA LUCE ELETTRICA

1 - «CAROLINA FU VIOLENTATA IN GRUPPO»: IN SEI SOTTO ACCUSA PER IL SUICIDIO DI NOVARA
Andrea Pasqualetto per "27esimaora.Corriere.it"

Lei, Carolina, che alla festa si sente male, che se ne va in bagno, che barcolla ubriaca; loro che la seguono, la circondano, la molestano e la filmano. Il video finisce in Rete, su Facebook, e dopo qualche tempo Carolina decide di farla finita e sceglie il salto nel vuoto lanciandosi dal terzo piano della sua casa di Novara, dove vive con il padre. È morta così Carolina, 14 anni, studentessa di un istituto tecnico piemontese. Era il 5 gennaio di quest'anno.

Ieri si scopre che sulla tragedia sono state aperte due inchieste. La prima a Torino, dove sta indagando la procura per i minorenni nei confronti di sei ragazzi, dai 13 ai 15 anni. I reati sono pesanti: per cinque di loro, presenti quella sera alla festa, è «violenza sessuale di gruppo»; per uno, un quindicenne, diffusione di materiale pedopornografico; allo stesso quindicenne e all'ex fidanzatino, che quella sera non c'era, il pm Valentina Sellaroli contesta invece la «morte come conseguenza di altro reato».

Nel frattempo a Novara la procura ha aperto un'indagine su Facebook per la mancanza di controlli rispetto alla diffusione di video come quello che ritraeva Carolina: è la seconda inchiesta. Facebook, la Rete, Twitter. Perché anche Twitter ha avuto un ruolo in questa vicenda, denunciando le responsabilità di chi «sfotteva» la povera ragazza, 2.600 messaggi in 24 ore. La tragica morte della studentessa, dunque, parrebbe legata a doppio filo con i social network.

Si indaga per capire chi ha girato i video - perché ce ne sarebbero almeno due - chi li ha diffusi, chi parlava di lei e «postava» e rilanciava fino a farla disperare. Al punto da indurla a scrivere un messaggio, sempre su Facebook, prima del tragico gesto: «Scusatemi, non ce la faccio più a sopportare». E a lasciare due lettere. Una per la sorella: «Mi dispiace, Tati, amiche mie vi voglio bene. Non è colpa di papà».

Ieri la sorella Talita - che Carolina chiamava Tati - ha usato ancora Facebook per urlare tutto il dolore e la rabbia nei confronti dei ragazzi: «Spero che la vostra coscienza, se ne avete una, non vi lasci in pace... Mi auguro che siate processati e giudicati colpevoli», per poi rivolgersi direttamente a Carolina che non c'è più: «Vedrai che la pagheranno per il dolore e le umiliazioni che ti hanno causato».

L'altra lettera era invece per l'ex fidanzatino quindicenne, che la ragazza aveva lasciato due settimane prima della festa: «Non ti basta quello che mi hai fatto, me l'hai fatta già pagare troppe volte». Per lui, un macigno. Ma l'ex a quella festa non era presente: lui della violenza sessuale non può essere responsabile. Potrebbe però aver saputo quello che era successo e avere offeso e deriso Carolina. «Ingiuria», secondo il codice, reato per il quale si procede a querela di parte, una parte, però, che non poteva più fare nulla.

Il suo giovanissimo amico e gli altri cinque si sono spaventati quando, il 9 maggio scorso, hanno aperto la porta ai carabinieri, che si sono presentati con un decreto di sequestro in mano. Cercavano un cellulare Apple, un «iPhone di colore bianco con cover rappresentante la bandiera degli Usa e cavo di ricerca», ha scritto il magistrato dei minorenni. «Sono dei poveretti», scuotevano la testa ieri i ragazzi dei giardini del muro romano, che un po' frequentavano Carolina.

Sua madre, Colla Leite, separata dal padre, non si dà pace: «Questa notizia ha riaperto una ferita che non si era ancora rimarginata».


2 - I GENITORI E QUEL DOLORE CHE NON DEVE RESTARE MUTO
Matteo Lancini* per "27esimaora.Corriere.it"
*Docente Facoltà di Psicologia Milano-Bicocca (Psicoterapeuta dell'adolescenza - Istituto Minotauro)

Le illazioni e le comunicazioni «senza corpo» degli adolescenti nativi digitali consentono di esprimere parti di sé che nella relazione reale non sempre riescono ad essere mostrate.

L'illusorio anonimato di Internet può però agevolare l'espressione di sentimenti e pensieri aggressivi ed indicibili, che trovano nel mezzo tecnologico un potente amplificatore. È così che la Rete può trasformarsi in un pericoloso nemico del controllo e della riservatezza, portando le conseguenze ben al di là delle intenzioni iniziali. Uno scherzo di cattivo gusto può fare il giro del mondo, diventando cyberbullismo.

Il provvedimento della magistratura minorile ha il merito di sancire l'inesorabile intreccio tra mondo virtuale e mondo reale. Le ricadute delle comunicazioni e delle relazioni virtuali sulla vita vera diventano in questo modo un'evidenza che mette a tacere la dicotomia tra realtà e virtualità intese come dimensioni contrapposte. Il bullismo esercitato attraverso la Rete acquisisce potenza, così come il dolore connesso alla vergogna di chi subisce l'atto, ma allo stesso tempo è più difficile da intercettare perché può non caratterizzarsi come azione continuata nel tempo tra prevaricatore e prevaricato.

I genitori potranno aiutare la vittima solo se capaci di offrire uno sguardo non divorato dall'ansia o dalla rabbia. L'adolescente in difficoltà potrà così sentirsi libero di rivolgersi al padre o alla madre, per confidarsi e cercare insieme una soluzione che lo aiuti a superare un ostacolo che, se rimane muto e inespresso, può apparire pericolosamente insormontabile.


3 - NESSUN CONTROLLO SULLE IMMAGINI: INDAGINI SU FACEBOOK
Andrea Pasqualetto per "27esimaora.Corriere.it"

Un'indagine su Facebook, per comprendere se il social network può avere delle responsabilità in una tragedia come quella di Carolina. La conferma è arrivata ieri sera dal procuratore di Novara, Francesco Saluzzo, che non ha voluto aggiungere altro su questa inchiesta che viene condotta in modo parallelo a quella della procura del tribunale per i minorenni di Torino.

Si sa tuttavia che sul suo tavolo era giunta il 22 febbraio scorso, oltre un mese dopo il suicidio della ragazza, una denuncia-querela da parte dell'avvocato Saverio Uva in rappresentanza del Moige, il movimento italiano dei genitori, nella quale Facebook veniva messo sotto accusa. «Per il reato di concorso in istigazione al suicidio della minore» scriveva il legale.

Un documento, quello del Moige, nel quale si mette in discussione il ruolo del sito, visto come arma a disposizione dei cyber-bulli. «Sembra che il movente del suicidio sia da ricercarsi nelle immagini e frasi presenti sul social network e non per autonoma e radicata convinzione personale del minore, tanto da far apparire il gesto non mosso da situazioni patologiche, intrinseche alla persona, ma dovute al disagio, al discredito, alla vergogna, alla prostrazione che il sistema mediatico della Rete ingenera nell'ambito sociale che i minori frequentano, rimanendone schiacciati».

E così viene individuato un nesso fra la piattaforma multimediale e le azioni di chi lo frequenta, e quel tragico gesto. «Tra l'immagine lesiva, discriminatoria, mendace e diffamatoria pubblicata e l'evento morte».

Va detto che gli inquirenti non escludono che a determinare il suicidio siano stati i soli video al centro dell'indagine. «Potrebbe essere la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno di un disagio personale della ragazzina, che si trovava in un momento di turbolenza affettiva, con i genitori separati». Ma in questa vicenda Facebook e la Rete almeno un po' c'entrano, non fosse altro che per i messaggi d'addio postati dalla stessa Carolina: «Non ne posso più...».

Il Moige denuncia una sorta di inganno: «Benché Facebook all'atto dell'adesione indichi, per regolamento, la possibilità di misure di salvaguardia delle pagine dei minori, di fatto non predispone alcuna attività di controllo o l'istituzione di un supervisore dei contenuti circolanti». Parla di legge raggirata: «L'assenza della capacità stessa del contraente-minore di addivenire ad un contratto renderebbe lo stesso annullabile». E da questa pesante accusa, salva naturalmente i genitori: «Nulla sanno delle iscrizioni che i giovani, quasi nella maggioranza, nascondono. Insieme all'utilizzo che ne fanno».

Quindi propone un divieto: «È necessario uno stop al libero ingresso del minore al social network senza un reale e fattivo controllo di mamma e papà, facilmente attuabile con semplici precauzioni all'atto dell'iscrizione. Questa mancanza incide pesantemente sulle responsabilità dei social network in questi eventi drammatici come quelli di Novara e, in precedenza, di Roma». Due suicidi, dicono, per vergogna.

 

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