NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON…
Tommaso Basevi per “Il Venerdì di Repubblica”
Parigi. Addio Charlie. Luiz se ne va, esce dal gruppo. Anzi no. Ritorna, ma solo in libreria. Otto mesi dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo, il disegnatore francese abbandona il suo giornale. Proprio in questi giorni firmerà la lettera di dimissioni. In Italia intanto esce Catarsi (Bao Publishing editore, pp. 128, euro 12), la zattera di salvataggio a cui Luz si è aggrappato dopo la macelleria del 7 gennaio. Un libro disegnato «a caldo», nel chiuso di un appartamento parigino con porte sbarrate, finestre oscurate e i poliziotti fuori. In strada, sul pianerottolo.
A ricordarti che non è stato un brutto sogno, era tutto vero. Quegli uomini vestiti di nero non erano un fumetto, ma killer in carne ed ossa. E Cabu, Charb, Tignous e gli altri, gli amici e colleghi di sempre, erano morti davvero. Luz quel giorno compiva gli anni. Si è salvato perché era in ritardo alla riunione di redazione. Improvvisamente attorno a lui il mondo è impazzito.
Le sagome dei fratelli Kouachy con i loro kalashnikov. Le sirene per strada. I pianti. Le manifestazioni oceaniche di solidarietà e le matite spezzate brandite come simboli. I politici velocissimamente convertiti in Charlie.
Con gli occhi del mondo addosso, il piccolo giornale satirico riprende a pubblicare. Le vignette di Maometto sono di nuovo in prima pagina. Un altro sberleffo. Come in guerra. O di qua o di là. In mezzo al ciclone, Luz sbanda, si sente sprofondare, si aggrappa agli affetti più cari e a quello che sa fare meglio: disegnare.
«Il disegno mi ha permesso di sopravvivere alle angosce, alle paure e alle paranoie. Le ho riversate in Catarsi riuscendo in questo modo a circoscriverle, a tenerle un poco più sotto controllo. Non soffro quasi più di insonnia, anche se si possono avere insonnie da sveglio. Molto spesso mi sento in balìa di una piacevole catatonia. È uno dei rari effetti positivi di quel che è successo.
Dopo aver vissuto quello che ho vissuto si ha voglia di riprendersi la vita con un’urgenza prima sconosciuta. Il paradosso è vivere al 120 per cento, ma andando a meno venti chilometri orari. Vivo una strana decelerazione. Posso esserci, ma senza fare niente per ore. Restando semplicemente in un angolo a riflettere, lasciandomi cullare da idee e pensieri, immaginando storie».
Nelle tavole del suo libro c’è un personaggio, Ginette, che sembra il suo doppio. Chi è Ginette?
«A un certo punto pensavo di non farcela più. Sono stato obbligato a dare all’angoscia, al nodo allo stomaco che mi affliggeva, un nome. Ad attribuirgli le fattezze di un personaggio. Con Ginette ho combattuto e dialogato. Essere riuscito a disegnarla, a portarla fuori da me, mi ha molto aiutato. Si figuri che gli psicologi specializzati nelle cure post-traumatiche mi hanno fatto i complimenti!».
Sono passati otto mesi dalla strage. Charlie Hebdo è ancora in edicola ma lei ha deciso di andarsene. Ripartire dopo un trauma del genere non era facile. Cosa non ha funzionato?
«Può sembrare strano, ma la strage non ha cambiato Charlie Hebdo. La decisione di riprendere subito le pubblicazioni è stata presa a maggioranza. Si pensava di combattere l’orrore del 7 gennaio facendo come se non ci fosse stato alcun 7 gennaio. Io inizialmente ho provato a seguire, non volevo sfilarmi dal gruppo, ma presto ho capito che non potevo togliermi quel giorno dalla testa. Quel che è successo mi ha cambiato per sempre».
È riuscito a disegnare i fratelli Kouachy, gli assassini di Charlie Hebdo. Come se li è immaginati?
«Nel libro li ho immaginati come i protagonisti di una danza macabra. Rappresentarli in questo modo mi ha permesso di gestire la paura. Ho provato ad imbrigliarli in una coreografia per potere tenere sotto controllo le mie angosce.
Nel momento in cui riuscivo a disegnare, il disegno prendeva il posto della realtà, o almeno dell’immagine della realtà, che è quella che conta, perché la realtà in sé non esiste, è una trappola. Mi chiedevo: e se fossero davvero stati solo dei danzatori? È come se i killer fossero entrati nel cortile della scuola danzando e urlando: smettetela di giocare! la festa è finita!».
La vostra innocenza è andata in frantumi il giorno dell’attentato? Il giornale in realtà era già stato al centro di forti polemiche nel 2006 dopo la pubblicazione delle vignette su Maometto.
«Sì. In realtà tutto è finito allora, quando abbiamo pubblicato le caricature di Maometto, riprendendole da un giornale danese. Ci siamo resi conto che, improvvisamente, il disegno era diventato qualcosa d’altro. Qualcosa di pericoloso. Ci dicevano: state attenti, offendete milioni di persone. Scherzate col fuoco. Mi sono chiesto spesso che cosa non abbia funzionato. Sicuramente non siamo riusciti a far capire che i nostri erano solo disegni e che il disegno è fondamentalmente innocente, è un gioco».
Col senno di poi posso chiederle se lo rifarebbe? Le sono venuti dubbi sull’opportunità di quella scelta?
«Ma perché si chiede a noi di avere dei dubbi? E non lo si chiede a chi uccide? A me pare incredibile. Chiedere a noi di fornire una giustificazione, chiedere se abbiamo avuto ripensamenti. Noi abbiamo sbeffeggiato Maometto perché abbiamo sempre combattuto tutte le religioni. Io sono anti-oscurantista e penso che tutte le religioni portino ad un restringimento delle libertà. Che sia quella delle donne o quella di pensiero. Chi brucia chiese o moschee è un criminale, ma non mi risulta che a farlo siano degli atei».
A trasformarvi in un simbolo non sono stati solo gli attentatori. Anche l’opinione pubblica, i media, le forze politiche, vi hanno trasformato in simboli. In paladini della libertà di parola e della libertà di espressione. Ironia della storia. Voi che vi consideravate degli anarchici libertari trasformati in eroi nazionali.
«È vero. Ci hanno voluto trasformare in bandiere. Noi che sulle bandiere, compresa quella francese, abbiamo sempre sputato. Ci hanno eletto a rappresentanti di qualcosa anche se nessuno, messo alle strette, sapeva esattamente di cosa.
MADONNA CON LUZ DI CHARLIE HEBDO
Chi era davvero Charlie? Il giornale? O il simbolo? Chiunque può modellarsi il suo Charlie, ma io sono altro. Non posso andare ad inaugurare delle targhe commemorative. Sono un disegnatore, non un portabandiera».
Di quelli che hanno preso le distanze dalla campagna Je suis Charlie, e di chi, come Emmanuel Todd ad esempio, ha parlato a proposito della mobilitazione dell’11 gennaio di «isteria collettiva» e di tendenze islamofobe cosa pensi?
«Pensarla così è un diritto. Per quanto riguarda Charlie Hebdo, non piacevamo a tutti prima. Non c’è ragione di piacere a tutti adesso».
MADONNA CON LUZ DI CHARLIE HEBDO
Lei è un grande appassionato di musica rock. In questi mesi ha continuato ad ascoltarla? E che libri ha letto?
«Sì. Ho ricominciato ad ascoltare musica dopo una lunga pausa. Pare incredibile anche a me ma ho incominciato ad adorare Elton John. Ho voglia di glam e di paillettes. E ques’estate ho letto Lovecraft e Shining che è diventato il mio livre de chevet. A Stephen King ho scritto una lettera piena di disegni ispirati al suo romanzo chiedendogli l’autorizzazione ad adattarlo in fumetto.
LUZ DI CHARLIE HEBDO TIRA FUORI IL PISELLO A GRAND JOURNAL TV FRANCESEluz renald luzier
Nel libro c’è una frase che ho fatto mia: “La vita è dura Danny. Il mondo non ci vuole male, ma non ci vuole neppure bene. Se ne frega di quello che ci accade”».
MADONNA SI TOCCA IN TV CON LUZ DI CHARLIE HEBDO CHE TIRA FUORI IL PISELLO
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