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Elisabetta Pagani per Tuttolibri
Agli amanti di “Trainspotting” basta un fermo immagine per visualizzare la brutalità di Francis Begbie. È quello in cui con noncuranza, dal soppalco di un pub, si lancia alle spalle una pinta di birra ferendo un avventore a caso: il pretesto perfetto per scatenare una rissa e sfogare tutta la sua violenza. Sono passati esattamente vent' anni dalla pubblicazione in Italia del romanzo d' esordio dello scrittore scozzese Irvine Welsh, e dall' omonimo film di Danny Boyle, e Begbie è tornato. Ripulito dall'alcol e dalla cricca di tossicodipendenti con cui delinqueva per Edimburgo nel libro culto degli Anni 90, ma ancora pronto a scattare come una molla.
In “L'artista del coltello”, il nuovo romanzo di Welsh, lo vediamo condurre un'agiata vita negli Stati Uniti, adulato dalle star (è diventato uno scultore) e coccolato dalle biondissime moglie e figlie. La morte del suo dimenticato primogenito, rimasto intrappolato nella Scozia balorda da cui lui è scappato, gli farà però riattraversare l'oceano per saldare i conti. Rincontrerà vecchie fidanzate (così diverse dalla sua perfetta moglie americana) e compagni di traffici vari. E dovrà testare la solidità della sua redenzione.
«Begbie è cambiato: era un killer a sangue caldo, ora lo è a sangue freddo» racconta Welsh al telefono dalla sua casa di Chicago (anche lui, come la sua creatura, vive negli Stati Uniti con la seconda moglie e ha chiuso con le dipendenze, nel suo caso le droghe). Sembrerebbe difficile provare empatia per un tipo così spietato, eppure per Welsh ai lettori piacerà perché in fondo tutti noi gli assomigliamo: «Nel mondo orribile che abbiamo creato - osserva - tutti gli impulsi sono diventati sacrosanti e per soddisfarli siamo disposti a ricorrere a ogni mezzo e a sdoganare la violenza, eccetto quando ne siamo vittime». La colpa, aggiunge, è di questa società egoista, che contesta come l' economia neoliberista, il nazionalismo o il consumismo.
Il protagonista di “L'artista del coltello” si chiama Jim Francis ma, come scopre presto il lettore, altri non è che il brutale Begbie di “Trainspotting”, che anni dopo tenta di redimersi.
Lei crede nella redenzione?
«Penso che la vita umana sia redenzione. Cresci e impari facendo errori. Purtroppo alcuni di questi errori hanno conseguenze pesanti sugli altri e allora, quando raggiungi la maturità, ti riconcili con te stesso e cerchi di riparare con queste persone, con la tua comunità, col mondo intero».
C' è qualcosa che può guarire un'anima malata?
«L' arte e l' amore possono guarirci, e farci ammalare se non li abbiamo».
In “Trainspotting” ha raccontato i giovani degli Anni 90, come racconterebbe quelli di oggi?
«Penso che le persone non cambino, semplicemente ogni generazione ha la sua sfida da affrontare. Per i ragazzi di oggi è più dura perché non c'è molta cultura. La globalizzazione e internet l'hanno decimata, non c' è un gran fermento di idee».
I personaggi di “Trainspotting” tornano in “Porno”, “Skagboys”, “L' artista del coltello”: la accompagnano da tutta la vita. Chi di loro le assomiglia di più, a pensarci oggi?
«Con se stessi è difficile essere obiettivi. Mia moglie dice che le ricordo Lucy Brennan di “La vita sessuale delle gemelle siamesi” (romanzo che Welsh ha pubblicato nel 2014, ndr.)».
Nell'ultima scena di “Trainspotting” il protagonista Mark Renton promette: «La verità è che sono cattivo, ma cambierò. Metto la testa a posto, rigo dritto, scelgo la vita. Diventerò esattamente come voi». Anche lei ha scelto la vita, c' è qualcosa che le manca del passato?
«Mi manca essere giovane e poter entrare in un nightclub pieno di belle donne senza sembrare un ridicolo vecchio pervertito. Per ogni uomo è così, chi dice il contrario o è un bugiardo o il più triste individuo immaginabile».
Non è mai stato un moralista.
«Penso che ogni scrittore sia moralista: scrivere libri per me è un atto morale».
Sta scrivendo un nuovo romanzo?
«Sì, sul business della musica nella Londra degli Anni 90».
Tornerà protagonista Renton?
«Oh, non lo so».
Intanto il regista Danny Boyle ha appena finito di girare “T2”, il sequel di “Trainspotting”, cosa ne pensa?
«Sono stato più volte sul set ma non voglio parlarne, è ancora in lavorazione. Posso solo dire che sorprenderà un sacco di persone per quanto è ben fatto».
Alcuni critici dicono che scrive sempre lo stesso libro.
(Ride di gusto per la prima, e unica, volta). «Questa è nuova, ma se mi dicono l' opposto?
Per i critici fighetti gli operai e gli scozzesi sono sempre uguali, probabilmente non hanno gli strumenti culturali per cogliere le differenze, quindi vaffanculo a tutti».
Anni fa fece un' intervista in cui sia lei sia l' intervistatore eravate sotto l' effetto di Mdma.
«Abbiamo preso una pastiglia e parlato di cose senza senso. Erano gli Anni 90, era quello che la gente faceva. Le interviste sono cose strane: si cambia a seconda del momento. Ora mi sento riflessivo, se mi chiamasse fra mezz' ora magari sarei di umore divertito».
Si può vivere senza dipendenze?
«È quasi impossibile perché il mondo che abbiamo messo su è uno zoo imperfetto per la nostra specie. La nostra società consumistica stimola i bisogni e incoraggia gli atteggiamenti ossessivo-compulsivi».
Qual è, oggi, la sua dipendenza?
«Probabilmente scrivere».
Nei suoi romanzi precedenti il focus era la droga o il sesso, in “L' artista del coltello” è la violenza. Quest'estate è stata segnata da una serie impressionante di stragi, le sembra che il mondo sia più arrabbiato di prima?
«Sì, anche se l'amplificazione è dovuta al fatto che ormai siamo interconnessi e più informati su quel che accade altrove. Europa occidentale e Stati Uniti reagiscono rinchiudendosi nei nazionalismi, ed è davvero sbagliato. I politici demagogici alla Trump vogliono farci credere che in questo modo avremo un maggiore controllo delle nostra vite, ma non è così».
Vive a Chicago, una delle città più violente degli Usa stando al numero di omicidi.
«Non è più violenta di altre. Il vero problema, qui come in tutti gli Usa, sono le armi. E le armi sono la malattia di una società intera, non di una città».
Che America si aspetta dalle elezioni presidenziali di novembre?
«Non voterei per nessuno dei due candidati: sono entrambi bugiardi e narcisisti, rappresentano due diverse forme di fascismo. Non vedo nessun futuro con loro. È come chiedermi di scegliere fra avere il cancro o una malattia cardiaca cronica».
Non ha votato neanche al referendum sulla Brexit.
«È lo stesso discorso: la scelta era fra due pessime opzioni».
E se la sua Scozia dovesse indire un nuovo referendum per lasciare la Gran Bretagna e tornare nella Ue?
«Supporterò la causa e credo che questa volta vinceremo, ma non avrò lo stesso entusiasmo del 2014: allora era davvero un argomento sociale, di sinistra, ora se n' è impossessata anche parte della destra».
Ma la Scozia potrebbe permettersi l' indipendenza sotto il profilo economico?
«Che domanda è? Perché non dovrebbe permettersela visto che ha più risorse naturali dell'Islanda, che sembra cavarsela bene? La Scozia ha l' 8,5% della popolazione del Regno Unito e qualcosa come il 40% delle sue risorse naturali. Penso che con l' indipendenza diventerebbe un Paese molto ricco».
I fan della Brexit hanno puntato la loro campagna sul no all'Europa di banchieri e burocrati. Perché la Scozia, che ha una forte tradizione operaia, ha invece votato per il «remain»?
«La Scozia ha votato per l' ideale europeo, non per le sue istituzioni. La working class inglese vede la Ue come una élite governativa che li sfrutta, in Scozia questa élite è identificata con Westminster. Detto questo, tutti sanno che la Ue deve cambiare o perderà altri Stati membri. Deve abbandonare il modello neoliberista e allontanarsi dal dominio della Germania e delle banche centrali. Riscoprendo finalmente la sua missione sociale».
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