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Gian Maria De Francesco per IlGiornale.it
Pietro Scott Jovane è determinato. Lo sciopero del Corriere, che oggi non è edicola, non ne ha mutato le convinzioni: cedere anche l'immobile di via Solferino (che insieme a quello della adiacente via San Marco dovrebbe garantire un introito intorno ai 200 milioni) è un'esigenza imprescindibile per garantire a Rcs le risorse necessarie per il piano di sviluppo digitale.
Secondo il punto di vista dell'ad, gli accordi sarebbero stati rispettati: i giornalisti di Corriere e Gazzetta continueranno a lavorare - almeno per una decina d'anni - nella storica sede in Brera e i proventi della cessione, in via di negoziato con il fondo Blackstone, serviranno per potenziare ulteriormente la presenza Internet e le edizioni digitali.
In fondo, il gentleman agreement con il patto (in particolare, col presidente di Intesa Giovanni Bazoli) prevedeva di non far «traslocare» i dipendenti, non di mantenere l'intero immobile. Il cda ha approvato l'operazione: il contratto di lease-back (9 anni + 6 + 6) prevedrebbe una clausola di riacquisto, per altro già utilizzata in passato.
Lo sciopero del Corriere, tuttavia, segna uno spartiacque non solo nelle relazioni sindacali, ma soprattutto nella gestione finanziaria di Rcs. In Borsa il titolo, dopo un calo iniziale del 2%, ha perso lo 0,78% chiudendo a 1,265 euro, poco sopra il prezzo dell'aumento (1,245 euro). Ne consegue che ormai Rcs vale non molto di più di quanto incassato di recente con la ricapitalizzazione da 400 milioni e, cioè, 585 milioni.
Di quei proventi, 150 milioni hanno già preso la via delle banche finanziatrici per rinegoziare il debito, mentre circa 50 milioni serviranno per pagare gli interessi sulle nuove linee da 600 milioni. Al patto di sindacato (in primis Fiat e Mediobanca) questa situazione è oramai ben nota in tutti i risvolti.
Il duro comunicato pubblicato dai giornalisti del Corriere, però, fa capire che le tensioni non si stempereranno giacché allude alla «sede storica svenduta per un piatto di lenticchie alla finanza speculativa» e invita Fiat, Mediobanca e Intesa a «impedire che lo stato patrimoniale sia saccheggiato», giacché i «debiti sono frutto delle scelte del passato», come l'acquisizione della spagnola Recoletos.
à probabile che in cantiere ci siano altre iniziative. Ma quello che fa temere al management nuove contese destabilizzanti è il tono fortemente critico dei giornalisti, con accenti che nei mesi scorsi hanno caratterizzato gli interventi di Diego Della Valle. Che con il patto in scadenza (il 31 ottobre è il termine per le disdette) punta a rimettersi in gioco.
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