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Giuliano Ferrara per "Il Foglio"
Detesto quelle navi. Mi sembrano dei mostri. Non è un giudizio. E' un pregiudizio. Detesto quel modello vacanziero di successo, la grande crociera della città che galleggia. Ho fisicamente paura di quegli spazi inconsapevolmente abitati, chiassosi e luminosi fino all'esplosione ricorrente della metafora del Titanic, il ballo sul ponte, la musica e il tempo che se ne va mentre tutto rovina e si apre lo squarcio mortale. Non ho niente contro l'esperienza del bello o del piacevole su scala di massa.
Non sono uno snob. Le città devono essere calpestate, i mari solcati, i musei sono aperti a chi li vuole visitare, tanta gente vuol dire basse tariffe, l'impianto familiare, la luna di miele, i bambini, il gioco continuo, l'impossibile sicurezza garantita. Nessun sussiego. E' un tratto dell'evoluzione commerciale e tecnologica del turismo. Bisogna semplicemente adattarsi, portare pazienza. Ma quelle navi mi fanno paura.
Il naufragio ha le sue tremende regole. L'organizzazione dei soccorsi e del disimbarco non è mai a punto. Il panico prevale su tutto. Gli esempi di eroismo, di ordine, di intelligenza collettiva non mancano. E nella notte ghiacciata del Giglio in tanti si sono comportati come dovevano, il risultato accertato e quello presunto tra morti e dispersi è doloroso, un incubo, ma per molti sommersi, incastrati, derelitti di una tragedia ci sono moltissimi salvati, il trasbordo, la solidarietà , la riconquista del caldo per i bambini, la mobilitazione, il lavoro della Guardia costiera e della protezione civile e dei privati e dei preti e dell'equipaggio e dei cuochi e del personale e di tutti, sono cose che edificano, che ispirano, che muovono a compassione e a orgoglio per la natura umana.
Ci penserei due volte prima di dannare quel giovane capitano di Meta di Sorrento, c'è un problema di procedure, di abitudini, di esclusione protocollare e programmata del rischio di cui discutere ancor prima delle responsabilità personali, dei delitti colposi. Troppo facile, e comunque sarà un'inchiesta dura e difficile, con vittime predestinate che hanno diritto di essere difese, di spiegarsi senza gogna. La terra è la dannazione dei marinai. Avvicinarsi è sempre un pericolo.
L'inferno comincia quando arrivi sottocosta, è universalmente noto. La manovra, sempre ma specie nei casi gigantistici come quelli della nave della Costa crociere diventa una sfida millimetrica al buonsenso. Il momento dell'allarme, a incidente avvenuto, dipende da fattori di comprensione e di valutazione del rischio: il panico. L'inversione di rotta e l'ulteriore accostata possono essere state fatali all'inclinazione oppure fortunate per il trasbordo notturno dei naufraghi. Si vedrà .
L'unica cosa che sarebbe intollerabile, perché tutto dipende da quello, è la fuga, la messa in sicurezza di un capitano quando le operazioni di soccorso sono in pieno e traumatico fervore. C'è del romanticismo, pensano tutti, nell'idea di un comandante che lascia per ultimo la nave. Forse. Ma c'è sopra tutto il segno semplice e archetipico, che riguarda poi tutti gli aspetti della vita umana associata, della responsabilità personale: quella è la garanzia dell'attenzione, della cura tecnica e della perizia con cui si esercita un potere. Dovrebbe valere per tutti, anche a terra, ma in mare è il carattere decisivo, la condizione a cui tutto il resto della meraviglia e della tragedia potenziale della navigazione è sempre appeso.
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