DAGOREPORT - ‘’RESTO FINCHÉ AVRÒ LA FIDUCIA DI GIORGIA. ORA DECIDE LEI”, SIBILA LA PITONESSA. ESSÌ,…
Michella Tamburrino per “La Stampa”
Stefano Dionisi neppure li rimpiange più gli anni del successo, del tutto facile, dei troppi amici, dei tanti premi, delle porte sempre aperte, degli amori da rotocalco. Come se la brutta esperienza del ricovero in una clinica psichiatrica, i cinque anni di psicanalisi massiccia, i dolori e le perdite, avessero generato un ragazzo diverso: secco quanto un chiodo, premuroso, loquace, attento agli altri, sempre sorridente.
Sarà merito anche della scrittura, perché quel periodo febbricitante fatto di film orribili partoriti dal suo cervello, di nemici immaginati, è traslocato di netto in un libro, “La barca dei folli” edito da Mondadori, una mezza autobiografia come sostiene lui, dove hanno trovato spazio e racconto le tante persone «strane» incontrate nel lungo cammino.
Archiviati i David di Donatello, il passaggio agli Oscar, l' interpretazione di Farinelli, il coprotagonista in Sostiene Pereira , il ruolo forte in Bambola , persino un santo, Sant' Antonio, sul cui set è successo il guaio, l' attore ha deciso di ricominciare da sé.
Dionisi, da amato a temuto che cosa ha portato un attore di successo al patatrac?
«Una vita di anaffettività familiare, la mania di persecuzione, quando ti fai film in testa che non esistono ma per te sono dirompenti. E un giorno lo stress è troppo e si crea una condizione di follia, nessun sostegno, nessun aiuto e vai via di testa. Mi sentivo perseguitato e al centro dell' attenzione. Nessuno ha provato compassione per me su quel set. Nessuno si è preoccupato di come stavo».
Ora come sta?
«Non si guarisce mai ma sto bene. Vivo una bella storia d' amore, ho recuperato il rapporto con mio figlio che mi ha costruito come padre e mi ha fatto lavorare tanto per arrivarci. Scrivo un nuovo libro e sono in tv».
Per il suo romanzo ha scelto un titolo senza mezzi termini.
«L' ho rubato a Foucault che parla di folli abbandonati nella barca dell' oceano. Sono immagini dai tanti significati. Io leggo molto, da autodidatta, mi piace la commedia umana, la grande letteratura a tema sociale che parla della vita. Cercavo quel tocco. Io ho raccontato quello che ho visto e che ho passato, i personaggi sono veri: il soldato che dall' Iraq aveva riportato i sensi di colpa, il bancario perfettino. Ho usato il mio disagio per capire senza giudicare e questo mi ha permesso di raggiungere la distanza adatta a narrare gli altri».
Lei diventò attore dopo aver posato in un manifesto per la campagna del partito comunista. Però votò Di Pietro. Oggi?
«Tsipras mi ha deluso, ora sono ambientalista. Penso che sia importante occuparsene, nessuno se ne occupa veramente».
E il nuovo libro?
«Anche questo è in parte autobiografico. Copre gli anni che vanno dal 1978 al 1984 raccontati da un ragazzino piccolo che poi sono io».
E il cinema?
«I vecchi registi non mi chiamano, i giovani neppure. Pazienza, nel frattempo ho scritto un romanzo dimostrando che non sono andato solo a portare a spasso il cane».
In compenso fa televisione.
«Sì, adesso mi si vede ne in L' Onore e il Rispetto e sto girando Un medico in famiglia. Finalmente non sono più un cattivo, ho un personaggio fisso, positivo, sul set c' è una buona atmosfera, i produttori sono disponibili anche a piccoli interventi che mi servono per portare a casa la scena».
Certo, lei che ha lavorato con Mastroianni, Serrault, von Sydow...
«E ne sono felice. Ma con il tempo ho perso gli ideali. Ora è un lavoro».
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