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Rodolfo di Giammarco per âLa Repubblica - Roma'
C'è una scandalosa perdita di spazi teatrali per la nuova cultura della scena, a Roma, che ha iniziato col far pesare un insostituibile vuoto di programmazione dall'ottobre del 2012 al teatro India, seconda (doppia) sala del Teatro di Roma (solo a tratti oggetto di qualificati inserimenti dell'ultim'ora), spazio neanche adesso eretto a cantiere di lavori di ristrutturazione e perciò sottratto alla funzione di offerta del sapere, e alla perdita dell'India si è aggiunta dall'inizio di gennaio la non meno grave chiusura della stagione del teatro Palladium, altro presidio fondante del panorama contemporaneo della scena, a causa di un non rinnovata collaborazione (ormai storica) con Romauropa.
Fin qui il bollettino delle privazioni di importanti, necessarie aree romane del nuovo teatro (tutto l'opposto dell'orizzonte milanese dove due strutture private come l'Elfo Puccini e il Franco Parenti, più ovviamente il Piccolo Teatro di Milano, sono prestigiose realtà di oggi).
Ma le coincidenze negative non s'esauriscono, nella Capitale, con questa anemia di luoghi, di siti, di palcoscenici. Il peggio dello scandalo, come ampiamente viene ormai quasi ogni giorno denunciato da più ambienti e testate, è nello stallo temporeggiatore e contraddittorio che affligge l'insoluta questione della direzione artistica del Teatro di Roma, dello Stabile della città .
Scadendo l'incarico del precedente direttore Gabriele Lavia a metà dicembre, era opportuno che una meditata individuazione del profilo di un successore (che per prossime norme ministeriali non può più identificarsi in un regista o in un attore) si attivasse già con dovuto anticipo sul concludersi del triennio condotto appunto da Lavia (tanto per fare esempi, il Festival di Avignone ha già avuto con un anno d'anticipo la designazione del nuovo direttore Olivier Py), ma in autunno circolò soltanto voce di discordanti candidature alla carica artistica, con un'indicazione (incompatibile per forma) del sindaco, e una predisposizione con diffuso consenso riguardante Ninni Cutaia, ex direttore dello Stabile di Napoli, dell'Eti e al momento in forza al Mibact.
Lo scandalo della sequenza degli avvenimenti ha voluto che Cutaia fosse sempre più pubblicamente in quota nomination, per giungere ad essere nominato direttore artistico il 23 gennaio, tenendo il giorno dopo una relativa conferenza stampa con annuncio delle linee guida di programma per il 2014, in presenza dell'allora ministro Massimo Bray e del direttore generale per lo spettacolo dal vivo Salvo Nastasi.
Ma ai primi di marzo scoppia la grana, con gli uffici competenti del Ministero che sollevano obiezioni sulla "convenzione" che avrebbe dovuto regolamentare il passaggio di Cutaia dal Ministero stesso (senza dare le dimissioni) allo Stabile, "convenzione" concordata precedentemente, ora rimessa a una nuova valutazione del neo-ministro Dario Franceschini, che per prudenza opta per l'incompatibilità .
L'effetto? Siamo di nuovo senza direzione. Lo scandalo, se così si può chiamare, verrebbe da ascriverlo a formulazioni ministeriali (politiche?) che prima avevano avallato per mesi la cosa, e poi l'hanno ritrattata a nomina avvenuta, a lavoro programmatore già fatto.
Ma non termina qui, lo scandalo di un attendismo, di una certa troppo cauta mancanza di metodo e di progetto che a questo punto coinvolge più che mai i due (soli responsabili? crediamo di no) assessori alla Cultura di Comune e Regione, Flavia Barca e Lidia Ravera. Da quel metà marzo inibitorio, azzerante e invalidante, siamo qui a conoscere un valzer di nomi (tecnici), a sapere che sono ancora in corso colloqui e presentazioni di curricula, con previsione che la fumata bianca ci sia nel dopo- Pasqua. Ma non è, tutto questo, cominciato dall'autunno, da mezzo anno fa, uno scandalo di disattenzione per la cultura della scena della Capitale, per la cultura tout court?
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