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DE SADE DA INCANTO – SCARAFFIA: ALL’ASTA A PARIGI IL “ROTOLO MALEDETTO” DELLE 120 GIORNATE DI SODOMA, L’OPERA COMPOSTA DAL DIVINO MARCHESE DURANTE LA PRIGIONIA NELLA BASTIGLIA – LA ROCAMBOLESCA STORIA DEL MANOSCRITTO

Giuseppe Scaraffia per il Sole 24 Ore

 

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“Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai”.

 

Per arrivare all’angusta cella dell’uomo che parlava così audacemente bisognava aprire diciannove pesanti porte di ferro. Il torrione del castello di Vincennes dove il marchese de Sade sarebbe rimasto per undici anni era umido e buio, illuminato solo da due pertugi chiusi da fitte sbarre. 

 

Dietro gli innumerevoli anni di detenzione del marchese, c’era indubbiamente qualche orgia eccessiva e l’imbarazzante vizio di mettere sulla carta le sue crudeli fantasie erotiche, ma non avrebbe patito tanto se non avesse provocato la suocera. La dama, che nei primi tempi lo aveva prediletto, era diventata la sua più feroce nemica quando de Sade era fuggito in Italia con la giovane cognata. 

 

Temendo le sue scenate i carcerieri lo facevano uscire molto di rado “in una specie di cimitero di circa quattro metri quadrati circondato da mura alte quindici metri”. Riusciva a scambiare qualche parola solo con l’inserviente che gli portava da mangiare. “Il resto del tempo trascorre piangendo nella solitudine più assoluta… Questa è la mia vita”. L’unico svago in quel deserto era la scrittura in cui le sue sfrenate fantasie erotiche si realizzavano sulla carta. Ma quello sfogo era il maggior ostacolo alla sua liberazione.

 

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Quello che scriveva, malgrado gli inviti alla prudenza della moglie veniva sottoposto alla vendicativa suocera, peggiorando la sua detenzione. Però lui resisteva: “Se, come dite, la mia libertà ha il prezzo del sacrificio dei miei principi o dei miei gusti, possiamo dirci addio per sempre, perché io sacrificherei piuttosto mille vite e mille libertà, se le avessi”. 

 

Quando l’avevano trasferito alla Bastiglia aveva concepito un elaborato progetto: scrivere in caratteri microscopici quella che considerava la sua opera capitale, “Le 120 giornate di Sodoma”, su dei foglietti che, incollati l’uno all’altro, avrebbero prodotto un rotolo di più di dieci metri, facile da nascondere. In quelle minuziose pagine un feroce erotismo si accaniva contro prede innocenti.

 

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Malgrado tutte le colpe del marito, la docile, mite e sgraziata moglie non lo abbandonava. Molte lettere del marchese sono bruciacchiate dalla candela con cui la donna faceva affiorare i messaggi scritti con l'inchiostro simpatico per sfuggire alla censura del carcere. 

 

Ormai il marchese non era più lo snello aristocratico di un tempo. Il libertino, in mancanza di meglio, era diventato un goloso ed era ingrassato al punto da farsi bersagliare con appellativi insultanti dai secondini. Il prigioniero aveva idee molto precise sul cibo e in particolare sui dolci. Rifiutando dei banale savoiardi  precisava: “Li volevo glassati da ogni parte, Volevo che fossero ripieni di cioccolato e non ce n’era affatto. Bisogna che i biscotti ne abbiano il sapore, come se si mordesse una tavoletta di cioccolato”.

 

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Quell’equilibrio si era rotto quando Sade invano aveva tentato di spingere i passanti a espugnare il carcere. Nella notte del 3 luglio 1789 il marchese venne strappato dal letto da sei uomini armati, che lo chiusero in una carrozza, senza neanche concedergli il tempo di vestirsi. 

 

Lasciava dietro di sè, nella cella, una biblioteca di seicento volumi, una preziosa tappezzeria, un letto da campo, dei bei mobili e alcuni ritratti. Madame de Sade, incaricata di raccogliere gli averi del marito, se ne ricordò solo il 14 luglio, quando la folla attaccò la Bastiglia e irruppe sul parquet d'abete preteso dal marchese, per rubare o distruggere ogni cosa. Nel manicomio in cui era stato mandato Sade si disperava per la perdita del rotolo. Non sapeva che sarebbe andato all’asta da Drouot a Parigi più di due secoli dopo. 

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