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Il cyberspazio doveva portarci a una trasformazione culturale. Saremmo dovuti diventare avatar strafighi, esistenti in varie dimensioni e con potenzialità illimitate. Tristemente, siamo finiti ad essere un mucchio di internauti misogini e pornografi, e il web non ha fatto che rinvigorire pericolosi concetti di genere e promuovere le divergenze.
E’ innegabile che ci sia stata una metamorfosi. La tecnologia ha creato un nuovo stato di “persona”. Le aziende mettono sotto contratto impiegati, giudicandoli in base alla loro presenza online e le identità digitali hanno acquisito autorità. La foto sul nostro profilo “Facebook” ha un peso simbolico, ma avete mai provata a cambiarla? Ci sembra strano come un nuovo taglio di capelli. Può non essere come lo immaginavamo nella fantascienza anni Novanta, ma siamo eccome creature che trascendono tempo e spazio e che esistono in dimensioni multiple.
Chi controlla dove finisce il corpo e inizia la fusione fra uomo e macchina?
RAGAZZINE DAL PROFILO FACEBOOK DEL FOTOGRAFO FURIO FUSCO
Le tecnologie con cui ci interfacciamo, quelle che ci offrono “l’altra versione di noi”. Spesso è spiacevole e offensivo vedere a cosa la nostra persona viene ridotta per seguire le arbitrarie regole di “Facebook”, che ha ridefinito lo standard delle informazioni necessarie da fornite subito in pagina: l’età esatta, il tipo di educazione, le esperienze lavorative, un vita intera compressa in una lista cronologica di eventi. Tutte notizie specifiche che ora, in questo folle mondo, costituiscono la tua identità sociale.
Ciò che un tempo era sconosciuto, nebuloso e privato, oggi è diviso nelle categorie di una “cultura dell’ipertrasparenza”. Basti pensare alle ultime politiche on line sull’obbligo di fornire il nome legale degli utenti, pena la chiusura dell’account. Non importa che ci siano individui con motivi legittimi per non ufficializzare il vero nome, tipo transgender o vittime di abusi.
“Facebook” parla di “politica dell’autenticità” al fine di salvaguardare gli utenti: dovete capire, l’invasione della nostra privacy è per il nostro bene! E’ chiaro: chi sei e cosa posti deve riflettere il vero te, perché è più facile sapere cosa fare con te, una volta capito chi sei davvero.
Questo modo di orientare l’informazione e di autodefinirsi, condiziona le persone, le spinge ad adattarsi a uno schema costruito aziendalmente. “Facebook” ha poi fatto un passo indietro, decidendo che una legittima identità può non essere costituita dal nome dato alla nascita. Ha quindi accettato che in qualche modo, nel corso della vita, le persone si trasformino, e la vera identità sia più elusiva e inafferrabile e non possa essere verificata con un semplice documento.
Ed è qui che ci riconosciamo come abitanti di un cybermondo, dove le ideologie e le differenze non sono le stesse della realtà. E’ una dimensione più complessa, dove il naturale si fonde all’artificiale e niente è semplicistico. “Facebook” non è riuscito a regolare questo nuovo universo ed è stato costretto a riconfigurarsi, a ridefinire la sua di realtà.
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