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Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera”
Accolto da un lungo applauso, dagli onori di casa del sovrintendente Alexander Pereira e dai «bentornato» del loggione, Riccardo Muti ha rimesso piede alla Scala dopo il burrascoso addio di 11 anni fa. L' occasione è stata l' inaugurazione della mostra che il museo teatrale gli ha dedicato in occasione dei suoi prossimi 75 anni.
Dopo un apprezzamento al Quartetto d' archi, che ha eseguito a teatro pieno brani di Mozart e Verdi in suo onore («non ero così fuori di testa quando li ho assunti») Muti, in poltrona sul palco per un dialogo con il critico Lorenzo Arruga ha esordito ricordando la sua dedizione totale alla Scala durante i 19 anni da Direttore musicale. «Questo non è un teatro, ma il teatro, così come lo ha fatto Toscanini.
Spero che in futuro la Scala torni a istruire i cittadini italiani. Il mondo guarda a questo teatro, dirigerlo è una grande responsabilità. Nella Costituzione danese l' insegnamento della musica è legge. Non intendo dire che bisogna insegnare solfeggio o mettere in bocca a tutti un flauto, ma insegnare l' armonia che serve per vivere meglio insieme.
L' Italia ha dominato il mondo con la musica; quando a Salisburgo portai Paisiello dissero: "oggi si è capito che Mozart non è piovuto dal cielo"».
Quindi è tornato su una ricorrente critica ai teatri internazionali: «Verdi viene massacrato in maniera volgare. L' orchestra, nella tradizione italiana, non è semplice accompa-gnamento. Nello stesso tempo in cui Wagner ripete per 20 minuti io sono io e tu sei tu, Verdi ha fatto tre figli. La verdianità è italianità e molti dei tedeschi non l' hanno ancora capito».
Il ricordo più toccante è andato al Nabucco dell' 86, prima opera come Direttore musicale: «Quando finii il Coro ci fu un urlo: il pubblico continuava a chiedere bis, bis. Non sapevo cosa fare, Toscanini lo aveva vietato. Guardai il coro, che fece un cenno di assenso con la testa. I giornali discussero per giorni se fosse stato un bene o un male. Oggi sarebbe impossibile tale attenzione. Il rischio di oggi è che la nostra Patria sia bella e perduta culturalmente».
«Il direttore d' orchestra ideale - ha tratteggiato Muti - deve essere un umanista e ottimo pianista, ma non è un mestiere in cui tutto si può insegnare. L' incompiuta di Schubert tutti possono dirigerla.
Oggi si esagera nella gestualità perché la società predilige il visuale. Credo che Jerry Lewis e Totò avessero gestualità teatrale migliore di molti direttori». Quanto ai registi, raccontando aneddoti su Strehler, ha ricordato che «un tempo si lavorava più strettamente insieme». È tornato a stigmatizzare gli eccessi registici, chi dirige i capolavori in giovane età e i cosiddetti intenditori, sorridendo di alcuni stereotipi.
«Una volta vorrei chiamare uno di questi critici bianchi in volto sul palco, fargli leggere una partitura e sentire che succede. I peggiori, però, sono gli intenditori vocali, che danno giudizi e, alla fine, mettono timore a pubblico e cantanti».
Muti è salito sul podio della Scala per un' ottantina di opere (contando le riprese), oltre ai concerti sinfonici e alle 370 serate in tutto il mondo con la Filarmonica. Tra i presenti ieri in teatro anche diversi registi, scenografi e cantanti che hanno lavorato con lui: Margherita Palli, Pierluigi Pizzi, Ezio Frigerio, l' architetto Mario Botta, Barbara Frittoli, Giuseppe Sabbatini e altri.
Presenti anche politici (l' ex premier Mario Monti), industriali e vip. Finale di serata non con il richiesto Va pensiero , ma con un filmato della sua Traviata . Pubblico entusiasta. Muti tornerà alla Scala il 20 e 21 gennaio per dirigere la sua Chicago Symphony Orchestra.
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