stephen sondheim west side story

DOPO IL COVID, MUSICAL MAESTRO! - LA HOLLYWOOD CHE VUOL TORNARE A VOLARE PUNTA SUL MUSICAL: PER L'ESTATE È ATTESO ‘’SOGNANDO A NEW YORK’’, A DICEMBRE SARA’ LA VOLTA DI “WEST SIDE STORY”, REMAKE FIRMATO STEPHEN SPIELBERG – RITRATTO DEL MITICO STEPHEN SONDHEIM, GENIALE AUTORE DI ‘’WEST SIDE STORY’’ E ‘’DICK TRACY’’ - “IL MUSICAL? È IL TENTATIVO DI PORTARE ORDINE NEL CAOS”

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1 – SOGNANDO A NEW YORK, SI RIPARTE DAL MUSICAL

Gloria Satta per "il Messaggero"

 

La Hollywood che vuol tornare a volare punta sul musical: mentre si attende l' uscita (prevista il 10 dicembre) di West Side Story, remake firmato Stephen Spielberg, Warner Bros programma per l' estate Sognando a New York - In The Heigts, trasposizione cinematografica dell' omonimo successo di Broadway con musiche di Lin-Manuel Miranda e libretto di Quiara Alegrìa-Hudes.

 

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Il coloratissimo, movimentatissimo trailer appena lanciato del film diretto da Jon M. Chu (Step Up, Crazy & Rich) dà già un' idea della storia e dei suoi protagonisti, interpretati da attori emergenti (Anthony Ramos, Corey Hawkins, Leslie Grace, Melissa Barrera, Olga Merediz, Gregory Diaz IV...): siamo a Washington Heights, il quartiere a nord-ovest Manhattan all' altezza della 181esima Strada, in mezzo alla vibrante, compatta comunità ispanica che vive, lavora, lotta, ama, sogna tra canti, balli, speranze.

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E sono le donne, dalle nonne alle adolescenti, a condurre il gioco in questo film che aspira ad essere una feel-good experience, un' occasione per uscire dalla sala rinfrancati: non è poco alla luce degli attuali, cupissimi tempi. «È giusto», dice il regista, «celebrare la vita, la comunità, la famiglia, il futuro attraverso i valori universali di questo film.

 

 

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2 – STEPHEN SONDHEIM - “DA WEST SIDE STORY A DICK TRACY: COSÌ HO CERCATO UN PO’ D’ORDINE NEL CAOS”

Antonio Monda per “Specchio - la Stampa”

 

Stephen Sondheim è un uomo affascinante e geniale, ma con un carattere ombroso e solitario, segnato dalla privazione e dal dolore. L’ho conosciuto in occasione di un omaggio che il MoMA organizzò in suo onore una ventina di anni fa, e mi accorsi subito che l’aria vagamente annoiata, di chi aveva già visto tutto, andava di pari passo con un’ammirevole libertà intellettuale.

 

Non ha mai avuto paura di andare controcorrente, e ora che è arrivato a novant’anni racconta di aver preferito da sempre «la gente nevrotica: amo sentire il rombo del tuono sotto la superficie». Ha vinto ogni tipo di premio: 1 Oscar, 1 Pulitzer, 8 Grammy e 8 Tony, record assoluto per un compositore.

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Tuttavia, i riconoscimenti a cui tiene maggiormente sono il teatro che porta il suo nome a Broadway, quello che sta per essere inaugurato in suo onore a Londra, e la Medaglia Presidenziale della Libertà conferitagli da Barack Obama.

 

«La mia idea di paradiso è non scrivere», disse in quest’ultima occasione disse ai giornalisti, e loro risero, ma lui non scherzava affatto. È nato in una facoltosa famiglia ebraica dell’Upper West Side di Manhattan, dove il padre Herbert vendeva abiti disegnati dalla madre Etta.

 

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La famiglia Sondheim era benestante e ammirata da tutti ed entrò in crisi quando il padre lasciò la moglie per un’altra donna: dopo il divorzio Stephen crebbe in solitudine al San Remo, uno dei palazzi più esclusivi di Central Park West. Venne quindi mandato a studiare in un’Accademia Militare e poi alla George School, un istituto privato quacchero, dove scrisse il suo primo musical, By George.

 

PASSION BY SONDHEIM

Aveva capito che avrebbe dedicato la sua vita allo spettacolo assistendo a nove anni a una replica di Very Warm for May, di Jerome Kern e Oscar Hammerstein II: «Il sipario si aprì e apparve un maggiordomo che si mise a spazzolare, con le chiavi che tintinnavano: pensai che fosse eccitante».

 

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Ma lo spettacolo aveva assunto anche un altro ruolo: era la fuga da un mondo di benessere il quale aveva tutto tranne il calore dei genitori. Sondheim aveva un pessimo rapporto soprattutto con la madre, che, da quanto racconta, sfogava su di lui tutta la rabbia e la frustrazione per l’abbandono del marito: lo picchiava e abusava di lui psicologicamente, e in una lettera arrivò a scrivergli che «il mio più grande rimpianto nella vita è stato averti fatto nascere».

stephen sondheim e leonard bernstein

 

Quando lei morì, nel 1992, Sondheim non andò al suo funerale, e da allora non ne ha mai più voluto parlarne. Poco tempo dopo aver visto lo spettacolo che gli cambiò la vita, diventò amico di James Hammerstein, figlio del compositore, che lo presentò al padre, il quale lo accolse in famiglia e diventò il suo mentore, al punto da dirgli che il musical scritto a scuola era «la cosa peggiore che avesse ascoltato».

 

Sondheim sul momento rimase male, ma ora, ripensando a come Hammerstein analizzò la sua prima opera e gli spiegò perché non funzionasse, dice: «ho imparato in quel pomeriggio più di quanto una persona possa imparare in un’intera vita».

dick tracy

 

L’educazione al fascino È il periodo in cui scrisse una versione di Mary Poppins, intitolata Bad Tuesday, poi, dopo la laurea, si trasferì a Hollywood, dove si mantenne lavorando per la televisione. È sintomatico che non amasse i musical, preferendo invece classici come Furore o Quarto Potere, ed è di quel periodo hollywoodiano una battuta che gli è rimasta attaccata addosso: «Sono stato educato a essere affascinante, non sincero».

west side story by spielberg

 

Dopo un primo musical ancora acerbo, intitolato Saturday Night, conobbe Arthur Laurents, il quale lo coinvolse nel progetto, suo e di Leonard Bernstein, di ambientare Romeo e Giulietta a New York: è così che nacque West Side Story, ambientato in un primo momento nel Lower East Side con il titolo East Side Story.

 

stephen sondheim steven spielberg

La critica a Wise La creazione di questo capolavoro fu caratterizzata dagli incredibili orari di lavoro: Bernstein si applicava al progetto soltanto dopo la mezzanotte, mentre Jerome Robbins, che firmava la coreografia, unicamente la mattina presto. Sia lo spettacolo che il film, diretto da Robert Wise, furono un enorme successo, ma Sondheim dice tuttora di non essere soddisfatto del libretto che scrisse per l’occasione e detestò la regia di Wise:

 

stephen sondheim arthur lawrence

«Ma ti pare normale che dei teppisti vestano in quel modo, con abiti perfettamente in tinta?», mi disse una volta. «E secondo te c’è qualcuno al mondo che può essere intimorito da una banda di quel tipo?». È lunga la serie di capolavori che scrisse da quel momento: Gypsy, Dolci vizi al foro, Into the Woods, Sunday in the Park with George, Follies, Sweeney Todd e Passion, basato su Passione d’amore di Ettore Scola.

 

stephen sondheim riceve la medal of freedom

Parallelamente, divenne un apprezzato enigmista e cominciò a pubblicare cruciverba sul New York Magazine: «La cosa bella dei cruciverba è che sai che esiste una soluzione», teorizzò. Divenne il mentore di alcuni dei più interessanti giovani compositori, come Jonathan Larson, l’autore di Rent, che aveva fatto per lui Oscar Hammerstein.

 

foto del film dick tracy

Probabilmente la sua canzone più famosa è la splendida Send in the clowns, ma quando gliene ho parlato mi ha detto: «Preferisco Someone in a tree e The Miller’s son». «Quando ero giovane», mi spiegò a Capri, dove venne per Le Conversazioni «il teatro aveva un effetto sul pubblico e sulla vita civile. Ora ho l’impressione che ogni esperienza finisca nel momento in cui cala il sipario».

 

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La malinconia di questa costatazione non gli ha impedito di continuare a scrivere con l’energia e la passione di un esordiente, cimentandosi anche in operazioni pop come Dick Tracy, per cui vinse un oscar. Nell’ultima serata caprese incantò il pubblico per il modo in cui riusciva a mescolare continuamente l’highbrow e il lowbrow, la cultura alta e quella popolare. Parlò a lungo di cosa significasse per lui l’arte, poi, il giorno in cui partì, mi confidò di non aver detto la cosa che gli stava più a cuore: «È il tentativo di portare ordine nel caos».

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