1- DOPO “VAFFANMERKEL”, “LIBERO” NO LIMITS: “MONTI NON CANTA L’INNO E PORTASFIGA” 2- “NONOSTANTE IN MOLTI AVESSERO CONSIGLIATO UN BASSO PROFILO, IL PREMIER HA VOLUTO A TUTTI I COSTI ANDARE A KIEV PER METTERE IL CAPPELLO SULLA VITTORIA DEGLI AZZURRI. MA LA SUA PRESENZA È LETALE: DOPPIO INFORTUNIO E QUATTRO GOL DEGLI SPAGNOLI” 3- “QUANDO PARTE L’INNO E I NOSTRI STANNO LÌ ABBRACCIATI A URLARLO, LE TELECAMERE SI SPOSTANO IMPIETOSE SU MONTI CHE NON SPICCICA MEZZA PAROLA DELL’INNO” 4- “E’ VERO, L’ITALIA AVREBBE PERSO CONTRO UNA SPAGNA IN FORMA COSÌ STRATOSFERICA ANCHE SE IN TRIBUNA CI FOSSE STATA UNA DELEGAZIONE DI VINCITORI DEL SUPERENALOTTO MA ADESSO L’ETICHETTA DEL MENAGRAMO CHI GLIELA LEVA PIÙ DI DOSSO?”

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Marco Gorra per "Libero"

E adesso l'etichetta del menagramo chi gliela leva più di dosso? Vero, l'Italia in bemolle vista in campo ieri sera avrebbe perso contro una Spagna in forma così stratosferica anche se in tribuna ci fossero stati Gastone Paperone, il tizio giapponese sopravvissuto a tutte e due le bombe atomiche del '45 e una delegazione di vincitori del Superenalotto.

Però la coincidenza tra la presenza in tribuna allo stadio di Kiev di Mario Monti e la prestazione imbarazzante dell'undici di Cesare Prandelli è quantomeno inquietante. Di sicuro si può affermare che, come si dice, la figuraccia rimediata ieri sera il premier se l'è andata a cercare con esemplare caparbietà.

Nonostante in molti - incluso questo giornale - gli avessero infatti consigliato un profilo basso e scaramantico, il nostro presidente del Consiglio a Kiev ci è voluto andare a tutti i costi, col dichiarato scopo di mettere la faccia sulla finalissima degli Azzurri. Ha scommesso tutto sul successo della nazionale, e mal gliene è incolto: abbiamo perso, e perso male come non ci capitava da chissà quanto. E, per ingeneroso che sia il fato, tra le facce della nostra sconfitta il posto d'onore se l'è guadagnato quella del premier.

Che sarebbe andata a finire male, lo si poteva persino capire da prima dell'inizio. Ingresso in campo delle squadre, bambini con le magliette antirazzismo, gagliardetti, convenevoli, inni nazionali. Ecco, gli inni. Quando parte Fratelli d'Italia e i nostri stanno lì abbracciati a urlarlo a squarciagola, le telecamere si spostano impietose su Monti. Che se ne sta ritto come un fuso e non spiccica mezza parola dell'inno.

Che il premier non fosse un fenomeno di patriottismo lo si sospettava, che però non avesse mandato a memoria l'inno nazionale per cantarlo in favore di mondovisione forse non se lo aspettava nessuno. Non è serata, e lo si capisce anche dal bollettino medico. Giorgio Chiellini si fa male appena dopo il primo gol, costringendo Prandelli a giocarsi subito una sostituzione.

Beffa doppia: quando, pochi istanti dopo essere entrato in campo, Thiago Motta si infortuna e deve lasciare il campo in barella (e in lacrime) gli Azzurri si ritrovano a dovere finire la partita in dieci uomini perché nel frattempo i cambi sono giù stati effettuati tutti. E le coincidenze tra il disastro azzurro e la presenza in tribuna di Monti iniziano a farsi molteplici.

Contribuiscono anche le zingarate sul tema "Primi effetti dei tagli di Monti: Italia in 10" che iniziano a girare su Internet. E ci dice anche bene che la finiamo in dieci: negli ultimi minuti in campo ci sono almeno tre giocatori che stanno in piedi per miracolo. Insomma, una serata da dimenticare per il premier. E dire che se l'era anche preparata per bene la trasferta, facendo di tutto per dribblarne l'aspetto politicamente più scivoloso, ossia il caso Yulia Tymoshenko.

L'ex primo ministro è reclusa da tempo - a tutti gli effetti prigioniera politica - nelle carceri ucraine, dove subisce un trattamento non esattamente umano. La circostanza aveva suscitato indignazione unanime in tutta Europa, con appelli (a partire da quelli della figlia della Tymoshenko, Ievghenia) ai leader politici delle nazioni coinvolte nell'Europeo se non a boicottare la manifestazione, almeno a sfruttarne la vetrina internazionale per alzare la voce sullo sconcio. Sulle prime Monti non si era mostrato molto sensibile alla cosa, salvo performare il colpo di scena ieri pomeriggio, a nemmeno un'ora dall'atterraggio sulla pista di Kiev.

Il premier italiano ed il collega spagnolo Mariano Rajoy si sono infatti fatti precedere da una lettera congiunta indirizzata al presidente ucraino Viktor Yanukovic il cui passaggio saliente, al netto dei salamelecchi diplomatici, è il seguente: «Abbiamo chiesto ai nostri ambasciatori a Kiev di richiedere permessi per visitare la signora Tymoshenko, e confidiamo che queste visite possano presto avere luogo».

Un colpaccio degno di quello di Balotelli contro la Germania e il tormentone Tymoshenko era bello che sistemato, come testimoniato - almeno per il versante italiano - dal profluvio di felicitazioni, congratulazioni ed apprezzamenti piovuti a stretto giro sul premier ad opera dell'arco costituzionale al gran completo. Tutto perfetto, tutto calcolato, tutto come doveva andare.

Tranne per quei maledetti palloni che entrano nella porta sbagliata e fanno scoppiare la festa in piazze situate un po' più a ovest di quanto si sarebbe sperato da queste parti. E che lasciano un Paese intero a fare i conti con la domanda delle domande: più forti gli spagnoli, per carità, ma non sarà che anche il presidente del Consiglio ci ha messo un po' del suo?

 

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