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l articolo su james franco di dagospia censurato da facebook
Federico Rampini per “la Repubblica”
Condanna nazionalismi e xenofobia, invoca la comprensione per l’altro e la solidarietà. Attacca esplicitamente Donald Trump. Non è papa Francesco, è Mark Zuckerberg che da San Francisco lancia il suo manifesto politico. Il 31enne fondatore e chief executive di Facebook ha illustrato un piano decennale per lo sviluppo strategico del social media, che è anche un condensato della filosofia e dei valori della sua azienda. Un social network da 1,6 miliardi di utenti, che a Zuckerberg “va stretto”: la sua ambizione è collegare a Internet tutti i 7 miliardi di abitanti del pianeta.
Di qui discende anche una visione politico-morale: «Siamo una comunità globale unica, nell’accogliere i rifugiati che tentano di salvarsi da una guerra, o gli immigrati in cerca di opportunità; nell’unirci per combattere un’epidemia o il cambiamento climatico». Ha polemizzato contro «l’attuale tendenza di molte nazioni a ripiegarsi su se stesse». Ha accusato «le voci della paura che invitano a costruire muri e a prendere le distanze dalle persone descritte come diverse da noi».
Zuckerberg parlava a San Francisco nell’ambito della conferenza annuale F8 in cui riunisce tutti i developer che scrivono nuovi programmi di software per le app di Facebook. Ad ascoltarlo c’era una folla di 2.600 collaboratori interni o esterni, venuti dal mondo intero. Al centro del suo messaggio Zuckerberg ha messo uno slogan: «Dare a ciascuno il potere di condividere con tutti gli altri».
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Verbo-chiave, to share, indica la “condivisione” di messaggi, foto, esperienze e commenti che ciascuno fa con gli amici sulle proprie pagine di Facebook. Ma è anche allusione a un altro tipo di condivisione, la diffusione delle opportunità, la distribuzione delle ricchezze.
Zuckerberg si appropria così di una tradizione antica, almeno per i tempi storici della giovane Silicon Valley e di tutta la West Coast americana: un luogo dove gli imprenditori hanno spesso cavalcato visioni progressiste, utopie sociali, il sogno di rifare il mondo. Da Bill Gates a Steve Jobs, da Larry Page a Elon Musk, molti pionieri dell’innovazione tecnologica hanno anche proposto un credo ideologico libertario, ambientalista, inclusivo, multietnico.
Il modello economico della Silicon Valley alla prova dei fatti resta un moltiplicatore delle diseguaglianze, ma questo non impedisce ai suoi leader di sfornare nuove utopie. Zuckerberg si candida in questo caso a rubare il ruolo a Google, che agli albori fu celebre per il motto “Don’t be evil”, non essere cattivo o non fare del male.
«Ci vuole coraggio oggi — ha detto Zuckerberg — per scegliere la speranza al posto della paura. Se lo fate, qualcuno vi definirà ingenui ma ogni passo avanti nel progresso è stato consentito da questa speranza e da questo ottimismo». Un passaggio in perfetto stile “obamiano”, anche se le relazioni fra il fondatore di Facebook e il presidente hanno conosciuto alti e bassi.
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Nell’attuale campagna elettorale Zuckerberg è attivo tramite un’organizzazione bipartisan, Fwd.Us (dall’abbreviazione di forward cioè “in avanti”) che ha sostenuto singole campagne tematiche: per esempio la battaglia per una riforma delle leggi sull’immigrazione, allineata con le posizioni dei democratici; invece ha caldeggiato l’oleodotto XL Keystone, combattuto dagli ambientalisti e bocciato da Obama.
Alla conferenza F8 non è mancata la parte dedicata al business: Zuckerberg ha lanciato un nuovo canale di comunicazione, dei “Chat bots”, messaggerie che creano un collegamento diretto tra gli utenti di Facebook e le aziende che vi fanno pubblicità.
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