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Marco Giusti per Dagospia
Alla fine il cinepanettone più divertente è quello più impegnato, più proletario e nettamente più alcoolico firmato da Ken Loach, "La parte degli angeli", presentato a Cannes a maggio, dove ha vinto il Premio Speciale della Giuria, e uscito da noi per far da muro intelligente contro la carica delle commedie e commediacce italiane di Natale. "Le avversità producono comicità ", ha detto molto seriamente Ken Loach presentando il film a Roma e spiegando perché è un atto politico presentare una commedia di questi tempi. "Ridere insieme nelle circostanze più disperate può essere un atto di solidarietà ".
Seguendo questa tesi, con la crisi e la sfiga politica che abbiamo noi in Italia e l'eterno ritorno di Berlusconi dovremmo produrre un cinema ultracomico. Magari non è proprio così. "La parte degli angeli", genialmente scritto da Paul Laverty, abituale sceneggiatore di Loach negli ultimi vent'anni, parte da una grande metafora, come spiega lo stesso titolo. Perché la parte degli angeli è quel due per cento di scotch che evapora nelle botti nel processo di distillazione del whiskey, ma è anche la schiuma che fuoriesce dalle classi più basse della società , qualcosa di invisibile e non tollerato da nessuno e che raramente trova una via d'uscita e qualcuno che li aiuti.
Solo l'anno scorso si è calcolato che siano un milione i giovani disoccupati in Gran Bretagna. Cosa potranno fare se verranno abbandonati a loro stessi? Loach e Laverty si occupano appunto di questo due per cento di whiskey e di classe proletaria scozzese, dal momento che il suo protagonista e i suoi amici, sfigati ex carcerati che cercano un qualche recupero nella società , preparano un vero e proprio colpo. Rubare proprio un po' di rarissimo whiskey, il Mill Malt, per rivenderlo e cercare di migliorare la propria esistenza.
Rubarne quanto basta per non dare nell'occhio, un'altra parte degli angeli per l'appunto. Scritto e diretto con la consueta maestria, sono proprio i toni da commedia a portare il film a un livello di solidarietà politica verso i più deboli che sarebbe apparsa un po' scontata e demagogica in un dramma. Ovvio che la vita di Robbie, il suo giovane protagonista interpretato con totale aderenza al personaggio da Paul Brannigan, come dei suoi amici Albert, Mo e Rhino, sia altamente drammatica.
Appena uscito dalla prigione per aver reso invalido un ragazzo che ha massacrato di botte senza motivo, si ritrova addosso un nemico storico che gliel'ha giurata, certo Clancy, e il padre della sua ragazza, Leonie, Siobhan Reilly, che non lo vuole più tra i piedi e, oltre a menarlo, arriva a proporgli dei soldi ammesso che se ne vada via per sempre. Lo salvano dalla sicura discesa all'inferno, il fatto di essere diventato padre e l'aiuto di un brav'uomo, Harry, John Henshaw, che lo accoglie come un figlio e gli offre un po' di lavoro e la chance di una nuova vita.
Sarà proprio seguendo Harry nella sua passione per le distillerie di whiskey che nascerà il piano di Robbie e dei suoi amici del colpo. Molto divertente, pieno di idee originali (mentre in Italia si riciclano remake di remake o sequel di remake), con un gran lavoro sui personaggi e gli ambienti di una Glasgow proletaria e sotto-proletaria, non è probabilmente tra i capolavori di Loach, ma è un gran film sulla crisi e sull'idea di solidarietà . In sala dal 13 dicembre.
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