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CLAPTON IS GOD - IL DOCUMENTARIO SULLA VITA DEL GENIALE CHITARRISTA INGLESE VISTO DA CARLO VERDONE: "MA HENDRIX RESTA INARRIVABILE" – LA DROGA, L'ALCOL, LA LITE CON I CREAM, LA MORTE DEL FIGLIO (“IL DRAMMA CHE LO HA FATTO MATURARE”) E IL MALESSERE CHE VENIVA DAL DOPPIO RIFIUTO DELLA MADRE: “PER ESSERE UNA ROCKSTAR DEVI ATTRAVERSARE L'INFERNO” –   QUELLA VOLTA A CAVA DEI TIRRENI CON LUI E PINO DANIELE – VIDEO

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clapton

Marco Molendini per il Messaggero

 

 

Il Dio della chitarra («Clapton is god» è la scritta che apparve ai tempi mitici del rock sui muri di Londra), micidiale costruttore di note, il più nero dei bluesmen bianchi, inaccessibile e tormentato protagonista della musica, ha smesso di nascondersi. E si racconta senza filtri in documentario privo di cadute agiografiche.

 

«Bellissimo, per me Jimi Hendrix è inarrivabile, ma questo film gli restituisce un'anima malinconica che, a leggere la sua autobiografia, sembrava non avere, anzi l'impressione che ne avevo tratto era che fosse un personaggio freddo, cinico, oscuro, altezzoso» dice Carlo Verdone, dopo aver assistito in anteprima a Life in 12 bars (La vita in 12 battute) che sta per uscire in Italia con un breve blitz di tre giorni, dal 26 al 28, secondo una liturgia ormai abituale per i biopic musicali.

 

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E, da vecchio appassionato del buon rock conquistato dalle fragilità rivelate e dal coraggio di farlo in prima persona, ha voglia di parlarne, di confrontarsi. Colpisce il coraggio di un uomo introverso come Clapton che, con la voce fuori campo e il corredo di molte immagini rare, racconta dolori privati, frustrazioni pubbliche, amori inutili o impossibili, la droga, l'alcol, la morte di un figlio, la liberazione proprio grazie alla terribile perdita di Conor, il bambino di cinque anni avuto da Lori Del Santo, volato da un grattacielo. 

Eric Clapton

 

«Il dramma che lo ha fatto maturare, dopo aver attraversato un deserto fatto di autodistruzione. Mi ha colpito molto, a un certo punto del film, quell'immagine insistita sul suo sguardo perso e il suo viso gonfio di alcol e droga», dice Carlo e insiste: «Il suo malessere veniva da lontano. Dal doppio rifiuto della madre, l'abbandono alla sua nascita e poi quando lo rincontra da adolescente. Un trauma all'origine della sua incapacità di fidarsi degli altri e della sua solitudine profonda». 

 

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LA VERGOGNAGià, una vita in compagnia dell'eroina e di montagne di brandy, con la vergogna di performance sgangherate, fatte di insulti diretti al pubblico e ai suoi compagni di band. La solitudine accompagnata dell'impossibilità di amare, come racconta il lungo inseguimento a Pattie Boyd, la moglie del caro amico George Harrison (la donna a cui dedicò Layla). Ma poi, quando lei si presenta da lui, la accoglie in preda all'autolesionismo e fa di tutto per allontanarla. «È una persona anaffettiva per Verdone - senza un vero amico, viaggia, consuma rapporti e la sua vita: una parabola comune a tanti protagonisti del rock, gente che ci ha dato gran felicità, ci ha sollevato dalla depressione, ha fatto il bene di tanti giovani avviandoli verso la musica, ma dietro le cui storie c'era il disastro assoluto. Per essere una rockstar devi attraversare l'inferno».

 

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Fa impressione vedere anche come vanno in fumo le sue relazioni: quelle sentimentali non lasciano tracce (come l'idea di venire a vivere in Italia con Lory Del Santo, certo non il trauma della perdita di Conor) anche se, alla fine, riesce a costruire una famiglia vera. Altrettanto sul fronte musicale: dall'abbandono degli Yardbirds dopo il successo di For Your Love («che gli faceva schifo» sottolinea Carlo), a John Mayall («che diceva come Eric suonasse bene, ma fosse anche inaffidabile, capace di non presentarsi alle prove e di essere scostante»). Anche con i Cream, uno dei vertici della sua carriera, ruppe senza rammarichi: «Non ne poteva più delle liti fra Ginger Baker e Jack Bruce», sintetizza Carlo. Nel film, Clapton sentenzia spietato: «La musica dei Cream era solo musica aggressiva, avrei fatto bene a restare con John Mayall». 

 

Un filo robusto, che non si spezza, però c'è: è il rapporto con i bluesmen neri. B.B. King, l'uomo che lo ha profondamente influenzato nel suo stile, apre e chiude Life in 12 bars. In mezzo Eric è pronto a dichiarare di essersi vergognato di se stesso quando, delirando, pronunciò in pubblico frasi razziste. E confessa: «Non mi sono suicidato solo perché non avrei potuto più bere».

 

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INAVVICINABILEInsomma, dopo due ore e dieci resta, come dice Verdone, il ritratto di un uomo difficile e scontroso: «Scontroso, però, è rimasto anche dopo la resurrezione. Anni fa, quando venne a suonare con Pino Daniele a Cava dei Tirreni, chiesi di potergli stringere la mano. Mi risposero che non voleva nessuno a meno di cento metri di distanza. Inavvicinabile come Bob Dylan, che non credo abbia mai dato un autografo». 

 

Anni fa Verdone fece un delizioso film, Maledetto il giorno che ti ho incontrata, sull'idea di un giornalista che vuole scrivere un libro su Jimi Hendrix: «Non mi sarebbe mai venuto in mente di prendere Clapton come spunto, anche nel caso fosse morto. La mitologia di Hendrix, oltre che dal modo fantastico in cui suonava, nasce dal suo spirito folle, dai suoi capelli, dai suoi vestiti. Era un Basquiat della chitarra. Clapton, invece, è uno normalissimo, ha un gran suono, ma è un figurativo, non avrebbe mai potuto fare Are You Experienced».

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Jimi era inarrivabile, non c'è dubbio. Ma dopo di lui chi c'è? «Per me Jimmy Page, per la voglia di sperimentare e Jack Bruce per l'energia. Poi, lui, Clapton». Tutti musicisti che appartengono a una stagione epica della musica: «Quella che racconta questo film, dove passano tutti, Beatles, Stones, Hendrix. Un ventennio d'oro, oggi il rock non esiste più»: parola di Verdone.

 

 

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