DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Estratto dell'articolo di Nicola Mirenzi per “il Venerdì - la Repubblica”
«Il futurismo di destra? Ma per favore. Non scherziamo». Pittore, scultore, disegnatore, pioniere del graphic novel, Pablo Echaurren possiede – insieme alla moglie, la storica Claudia Salaris – la più completa collezione al mondo di riviste, volantini, manifesti e dischi del futurismo.
«La prima cosa che faccio appena mi sveglio, al mattino, è cercare su internet uno dei ventuno pezzi che mi mancano». Militante nell'area creativa del movimento del '77, membro degli Indiani metropolitani, Echaurren ha cominciato ad appassionarsi al Futurismo in quegli anni roventi d'ironia, baldoria e furore politico, quando un collettivo marxista ortodosso scrisse un volantino contro di lui all'università di Roma, scagliandogli il Futurismo addosso come un'onta.
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Sotto il segno di un analogo riflesso condizionato, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha inaugurato il cantiere contro l'egemonia culturale della sinistra consigliando al Museo archeologico di Napoli di fare una mostra sul Futurismo, perché ha «un'idea di modernità che viene dall'antico, dal passato».
Ha poi detto che, insieme al Maxxi, diretto da Alessandro Giuli, il governo sta costruendo il «nuovo immaginario italiano» acquisendo allo Stato la casa del pittore futurista Giacomo Balla, a Roma, sottintendendo che, con la destra al governo, il Futurismo è finalmente libero dalla cappa della sinistra. «Ma in realtà gli studiosi più importanti del Futurismo in Italia», dice Echaurren, «non sono mai stati conservatori, ammesso che sia giusto classificare uno studioso in base alle categorie politiche anziché alle sue qualità critiche».
Lei però subì il pregiudizio di sinistra.
«Finita la guerra, il Futurismo venne considerato un cascame del fascismo e chi aveva opere, riviste, materiali di quel movimento se ne liberò, come fossero cianfrusaglie. Nell'estrema sinistra degli anni Settanta il luogo comune e l'ignoranza operava ancora, ma anche a destra non c'è mai stato entusiasmo per il Futurismo: credo perché, da quelle parti, agli aeroplani hanno sempre preferito le vanaglorie delle aquile imperiali».
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«Perché il Futurismo fu una baraonda inclassificabile, ha sfasciato tutte le gabbie mentali del passato. Ha inventato il canone dell'essere contro, che modellerà l'intero Novecento, non solo artistico, ma anche politico, fino ai giorni nostri».
Ebbe anche un rapporto con il fascismo, però.
«Chi lo nega? Ma non sono due movimenti sovrapponibili. Anzi. Boccioni al fronte rivide le sue posizioni politiche e Marinetti nel 1920 si allontanò dal fascismo, accusandolo di guardare al passato. Dall'altra parte, Antonio Gramsci scrisse su Ordine Nuovo che Marinetti era un "rivoluzionario" perché "non ha paura che il mondo caschi se un operaio fa errori di grammatica"».
Vuol dire che era di sinistra?
«No. Ritengo che, al netto di alcune figure irregolari, l'Italia sia un Paese sostanzialmente conservatore. Impaurito dall'esplorazione e dall'ignoto. Attaccato irrimediabilmente alla statua dell'eroe a cavallo». Ma che cosa prova quando legge l'elogio futurista della guerra? «Il desiderio di contestualizzare. Erano altri tempi. Anche Guillaume Apollinaire fu affascinato da certi proclami. E poi penso: "Quante stronzate avrò detto nella mia vita?". Ecco, sarà capitato anche a Marinetti di dirne qualcuna».
Fa bene Sangiuliano a suggerire una mostra sul Futurismo?
«Ma le grandi mostre sul Futurismo sono già state fatte. 1986: Palazzo Grassi, Venezia. 2014: Guggenheim, New York. Il Futurismo è ormai riconosciuto universalmente. Non ha bisogno di ministri della Cultura che lo promuovano come un prodotto tipico nazionale. È già molto oltre. Sarebbe miseramente provinciale restringerlo all'identità italiana o, peggio, a una parte politica, per di più la destra identitaria di oggi».
Perché?
«Perché il Futurismo era libertario, dai costumi esagerati, per la sperimentazione sessuale, l'emancipazione della donna, era insofferente a ogni categoria, qualsiasi confine, era cosmopolita, figurarsi che c'entra con il piccolo mondo antico del sovranismo».
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