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Enrico Vanzina per “il Messaggero”
Roma, malgrado il suo naufragio inarrestabile, buche, spazzatura, mezzi pubblici allo sbando, mancanza di progettualità, una capitale praticamente commissariata per insipienza, resta comunque la meta favorita delle grandi star hollywoodiane. Dopo vari kolossal ( Ocean's twelve, Ben Hur, 007 Spectre) è attualmente il set di altre grandi produzioni americane (Ridley Scoot e Danny Boyle).
Spesso sbarcano in città George Clooney, Bruce Willis, Brad Pitt. Giorni fa, per il concerto di Bocelli, abbiamo avuto come ospiti Banderas e Sharon Stone. Ottimo: le loro foto faranno il giro del mondo e rilanceranno la città eterna. Ma se andiamo a scavare le piccole epopee di queste star a Roma, viene fuori che tutto è legato al cibo. Alle trattorie dove si mangia cacio e pepe. Come dire: questi mostri sacri vengono a Roma non tanto per la Cappella Sistina o per il Colosseo, ma per magna' la pasta.
Ne avevamo avuto sentore già qualche anno fa quando Woody Allen (il mio idolo) venne a girare a Roma il suo To Rome with love . Restò diversi mesi e ogni giorno, sulle pagine della cronaca social, veniva pubblicata una sua foto tra cuochi, camerieri, osti e proprietari di ristoranti. Una galleria di immagini abbastanza malinconiche nelle quali uno degli uomini più geniali, spiritosi e intelligenti del pianeta era ostaggio della amatriciana, dei saltimbocca e dei carciofi alla giudia.
Passavano le settimane e Woody era sempre più triste, smorto, quasi avvilito nel doversi mostrare al fianco di cuochi egiziani e osti abruzzesi. I maligni sostenevano che essendo molto tirchio quelle foto erano il prezzo da pagare per mangiare gratis. I soliti maligni. Resta il fatto che tutte quelle abboffate romanesche hanno appesantito Woody il quale, qui a Roma, ha girato forse il suo film più brutto. Senza sale.
Ed è tutto dire dopo tutte le cene consumate a Trastevere, al Gianicolo e a Testaccio. Insomma, Roma per Hollywood è un assoluto tour gastronomico. Al quale non è sfuggita nemmeno Ivanka Trump, della quale abbiamo conosciuto i menù quotidiani quando venne recentemente da noi. Dobbiamo rassegnarci a questa verità culinaria. Inutile stare qui a dannarci per trovare strategie di marketing con le quali rilanciare Roma attraverso siti storici, musei, opere d'arte imperdibili.
Agli americani piace la carbonara. Punto e a capo. Quindi, attrezziamoci per mandare negli Usa non Sorrentino, non Sgarbi, non il maestro Muti, a tenere alta la bandiera della nostra cultura, ma piuttosto quelli di Master Chef a reclamizzare la gricia. Tanti anni fa, Billy Wilder venne a Roma per conoscere Bernardo Bertolucci. Ingrid Bergman lasciò Hollywood e si trasferì ai Parioli per lavorare con Roberto Rossellini.
Truffaut, Wenders, Losey, facevano dei pellegrinaggi a Cinecittà per riverire Fellini. Oggi tutto ciò non accade più. L'unico aneddoto in contro tendenza me lo ha raccontato Faye Dunaway. Mi disse che il suo amore con Marcello Mastroianni finì, quando vivevano insieme a New York, perché lui aveva nostalgia della pasta e fagioli. La lasciò e tornò a Roma. Grande Marcello.
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